Rinascenza Contemporanea

Corriere dell'Arte
Corriere dell'Arte

 

 

Associazione Artistica&Culturale

Presidente - Critico d'Arte - Curatore: Andrea Domenico Taricco

 

 

Lo spazio espositivo Rinascenza Contemporanea è l'isola beata in cui tutti i creatori esistenti in questo relativo presente desiderano mostrare e condividere con il pubblico, le proprie opere e sogni ad occhi aperti. Pittura, scultura, architettura, fotografia, cinematografia, teatro, musica, letteratura: tutte le arti avranno la possibilità di risorgere in nome della bellezza all'alba del nuovo millennio, nella speranza di coinvolgere le nuove generazioni, in un percorso finalizzato ad accrescere la cultura generale. L'Arte Totale, nel senso wagneriano, sarà il culto del mondo di domani che stiamo fondando Oggi, mettendo le radici nel cuore di tutti coloro che sono e non sono interessati. Queste le premesse per un progetto benefico e ricreativo.

 

 

Il Critico d'Arte Andrea Domenico Taricco, presenta il testo di Storia dell'Arte Contemporanea intitolato "TEORIA SINAPTICA ESSENZIALE. Il Virtualesimo", in cui presenta e descrive gli artisti e le opere esposte in questi due anni e mezzo ovvero dal 30 giugno 2012 al 24 novembre 2014, presso lo spazio espositivo Rinascenza Contemporanea.

 

                        Gli Artisti coinvolti:

 

Antonella Rizzo, Luigi Sentina, Domenico Levato, Anne Delaby, Elisabetta Repole, Sergio Galiero, Carla Passarelli, Giuseppina Carloni, Luana Celli, Alfredo Celli, Carla Perona, Valeria Ciotti, Annamaria Pizzi, Renè Ghisetti, Erminia Gebbia, Nino Ninotti, Alexandre Saturnini, Andrea Boltro, Antonietta Meneghini, Mikela Ingrassia, Cosimo Nocente, Giorgio Biso, Annamaria Amendolito, Francesco Lupano, Maria Grazia Monticelli, Vannessa Gisella Cesario, Maria Ravero, Ernesto Margueret, Raffaele Cantone, Antonio Lenzi, Antonella Manosperti, Silvana Consoli, Giuseppe Ferrari, Giusy Ciliberti, Mara Destefanis, Ennio Rutigliano, Andrea Albonetti, Sabino Galante, Erica Prandin, Piera Ingargiola, Laura Conti, Letizia Barbi, Augusto Ghiani, Stefano Cerritelli, Marco Iacobelli, Ermenegilda Ferrante, Maria Carla Bresciano, Maurizio Farina, Silvia Boldrini, Luca Guglielmo, Giovanni Greco, Marco Giovanni Gianolio, Luca Donati, Roberto De Siena, Maria Luisa Delzotto, Salvatore Chessari, Sabrina Zucchello, Ezio Bruno, Gabriella Tolli, Valerio Doddi, Francesco Zacchi, Maristella Angeli, Claudia Pancera, Enrica Toffoli, Clara Brunelli, Giacomo Sonaglia, Arturo Semprevivo, Leandro Antonini, Antonio Cannata, Stefano Cristofanello, Michela Azzola, Alberto Bonu, Rosaria Barbarinaldi, Milena Barberis, Michele Mariani, Gianfranco Rossocci, Silvia Pastano, Olimpia Undari, Martina Vaccarella, Loredana Zambuto, Paola Longo, Irina Kova, Kevin Regonesi, Secla, Michelle Rubino, Marco Gemelli, Martina Miola, Gina Pardo, Maria Grazia Marniga, Lino Alviani, Ciro Palladino, Daniela Acciarri, Rossano di Cicco Morra, Adriana Pozzi, Alessio Antonio Mercurio, Marco Cafaro, Matteo Filiddani, William Santolieri, Mara Carusi, Fred Nardecchia, Marco Creatini, Matteo Chiarello, Andrea Marra, Mirabela Ioana Cadar, Antonello Marigliani, Assunta Canapini, Anna Selvaggio, Nicola Morea, Nino Perrone, Adria Muzzi, Giuseppe La Valva, Francesco Minniti, Maurizio Di Carlo, Pierpaolo Mancinelli, Nineth Schiarizza, Marco Mazzurana, Oria Strobino, Patrizia Borrelli, Oscar Francescutto, Matteo Casati, Simona Bianchini, Gianni Colavecchi, Raffaella Lombardi, Silvia Perrone, Simone Fantini, Raffaella Calcagnini, Bruna Calzolari, Diego Burigotto, Samuel Sichetti, Manuel Checchi, Maria Assunta Albini, Igor Castangia, Salvatore Palmieri, Daniela Scozzi, Paolo Lupo, Sauro Tupini, Laura De Angelis, Salvatore Trovato, Diego Bonsi, Fiorentino Manganiello, Claudia Carlone.

Il ciclo inumanistico giunge così al suo apice descrittivo trasponendo l’Es nelle zone recondite dello spirito. In altre parole là dove giunge l’istinto primordiale ha sede l’anima di ogni singola entità disposta a scegliere il corpo fisico in cui abitare, in cui giungere ad un grado evoluto di consapevolezza, in cui compiere il proprio destino nella certezza delle proprie esperienze universali. Il Virtualesimo esteriorizzante varca la soglia dell’Inumanismo e questo entra direttamente nell’Atomistica.

In questo ambito è possibile esprimere il concetto di realtà come proiezione introspettiva di una visione pluridimensionale: già nel 1982 il fisico Alain Aspect ha dimostrato che sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche esse, nonostante la distanza, sono capaci di comunicare simultaneamente tra loro sapendo esattamente cosa stanno facendo le altre. Lui così come David Bohm stabilivano così la non esistenza della realtà oggettiva come se l’Universo stesso fosse un gigantesco ologramma. Partendo dal postulato che un ologramma sia una foto tridimensionale elaborata con un raggio laser. Quando la pellicola viene sviluppata emerge solo l’intrico di linee che esposte ad un raggio laser determineranno la figura originale. Questo presupposto vale anche per gli atomi che caratterizzano la mente umana connessa alle più piccole forme di vita sino alla vastità cosmica.

In questa matrice precostituita possiamo addentrarci nella stupefacente rete di connessione artistica espressa da Antonio Servillo fautore vivace di mondi avveniristici in cui l’originalità espressiva tende all’esaltazione di qualcosa che va oltre le apparenze. Maurizio Marchini parte da considerazioni simili decantando metafisicamente lo spazio di riferimento sino a decostruirlo oniricamente restituendolo allo spettatore purificato. Luciano Valensin ancora offre questi panorami inumanizzati in cui l’ombra dell’effimero cerca una sua logica oltre i richiami archetipici dell’apparenza e mettono in campo l’uomo e le sue paure. Su questa linea discorsiva emergono i lavori di Ruben D’Agostino il quale mette in campo proprio la realtà fin qui elusa trasponendola assemblativamente sul supporto quale laboratorio sperimentale di criticismi iper –concettuali atti a destabilizzare la contingenza. Una contingenza espressa ai limiti di un pop post-atomico o siderale come nel caso delle zebre iconizzate da Alessia Gallegati che trasla esteticamente l’eleganza del colore, della forma o del gesto. Ancor l’evanescenza pittoresca sondata da Paolo Gheri mediante la poetica paesaggistica dilatata sino ai confini dell’astrazione animistica così come le figurazioni impresse sul supporto da Luella Lulli decana di un linguaggio diretto e fluido. Loredana Giannuzzi ancora che con le rappresentazioni delle figure femminili incarna il senso della bellezza, del magico e dell’unità alla Terra di origine. Infine Ariane Schuchardt fonde astrazione e figurazione nella ricerca sincopata di stati d’animo in cui lo spirito selvaggio decide alfine di rifugiarsi.

Da questo momento l’Inumanismo consuma le sue connotazioni espressive e sublima nella ricerca oltre l’uomo. Definita la sostanza effimera del mondo di riferimento attraverso la rappresentazione ologrammatica è possibile attraversare le singole proiezioni luminose emesse dalla materia sino a concepirle come emanazioni cosmogoniche, ovvero come infinitesimali universi sinaptici collegati ad una energia eterna, ovvero ad entità non create ma esistenti da sempre nell’Ente di riferimento a cui noi tutti apparteniamo. Lo stesso Platone definiva con questo termine l’eternità del mondo delle idee che nel pantheon Mithraico evocava una divinità relazionata alla simbolizzazione del tempo. La pluriconnessione di queste emanazioni viaggiano oltre la potenza della luce in tutto armonico collegato istantaneamente dai margini infinitesimali delle sue barriere interne sino ai macrocosmici vortici galattici posto oltre le Colonne d’Ercole della Mente. L’Archeo ne diviene la materia flessibile, il punto nodale di svolta assoluta in cui lo spirito vitale insito nelle cose pervade lo spazio e lo consuma.

Su questa linea ibrida tra il mondo interiore della Mente e quello esteriore dello spirito emergono i lavori del dott. Alberto Cecchini. Laureatosi in Psicologia e specializzato in Psicoterapia utilizza i suoi riferimenti culturali come vettore essenziale per comunicare attraverso il fare artistico e crea la Living Art, un movimento artistico atto alla rivalutazione della vita quotidiana mediante l’estrapolazione di codici e linguaggi specifici non immediatamente riconoscibili. Effetti spontanei che attraverso l’ausilio di metafore indotte possono mettere in campo tutta una serie di contraddizioni, paure od ossessioni che costellano l’essere umano sino a risucchiarlo nel vortice della realtà ordinaria.

I suoi postulati essenziali partono dal concetto di libero arbitrio connotando alla verità personale la priorità assoluta nel rispetto della diversità da tutto ciò che ci circonda. Fattori esteticamente rappresentati in lavori come Casa immersa nel bianco, in cui nel vortice dell’assenza connatura lo smarimento nella certezza di un solido punto di riferimento. Vettorializzazioni che scendono sempre più in profondità come nella quiete espressa dall’opera intitolata Fiume dopo un nubifragio. Ma l’essenza assoluta di questo percorso introspettivo viene rappresentato dall’opera Barca ormeggiata davanti a un buco nero. Qui siamo in presenza di una forza magnetica che risucchia tutto e l’uomo, macchina perfetta, creatrice della logica, delle leggi, dei sentimenti vacilla terribilmente con tutte le sue certezze innanzi al baratro della vita/morte.

Alberto Cecchini è questo e non solo. I suoi mondi sono paradigmi direzionali che descrivono l’improbabile paradosso dell’esistenza senza trasporla nell’esistenzialistica frammentazione del possibilismo. In tutto questo emerge una ricerca del sacro, del bello e della forza propulsiva che lega e divide tutto: l’amore. E l’amore appunto è il tema dominante che proietterà l’artifex sacerdotale dell’atomismo verso i segreti reconditi dell’universo infinito sino a trovare finalmente rifugio nell’immensità di Dio.

Il punto di transizione tra la dimensione umana della psiche e l’evoluzione dell’Anima viene rappresentato da questa mostra personale intitolata KARMA. Quando l’Es diventa Spirito in cui espone un’artista torinese: Giovanna Grimolizzi.

Se l’Es finora analizzato considerava l’atteggiamento degli artisti verso i gradi introspettivi dell’essere ora, questo vettore induce a sfere più elevate che lo liberano nella dimensione spirituale. Ed il Karma rappresenta questo passaggio essenziale.

Costituisce il libero agire dell’essere come parte del tutto secondo la legge di causa – effetto, mediante il quale l’essere senziente agisce liberamente nello spazio preordinato sino all’accumulo di quelle conseguenze morali che lo proietteranno nel suo eterno divenire nel processo spirituale ancorato al ciclo delle rinascite.

Il termine karma deriva dal sanscrito e significa letteralmente creare qualcosa agendo, dunque definisce la totalità di un libero arbitrio che dispone l’essere nei confronti dell’esistente nella consapevolezza che dovrà compiere tutte le esperienze possibili per raggiungere un livello di purezza mediante il quale potrà finalmente connotarsi alla liberazione.

In esso sono racchiusi presupposti come il principio di trasmigrazione dell’anima, di reincarnazione nel processo esistenziale e quello fondamentale di non attaccamento alle cose materiali perché effimere.

Secondo questi principi le azioni così come le emozioni della vita attuale influiscono sulle future incarnazioni: una buona condotta determina il desiderio di fare determinate esperienze che gli consentiranno di prendere una determinata strada nel ciclo delle rinascite così come un comportamento negativo determinerà una tipologia di scelte che lo indurranno a fare esperienze in quella direzione. Sono elementi che il buddismo relaziona ad un processo universale in cui non esiste condanna, punizione od approvazione: ognuno e libero di seguire il proprio cammino in questo mondo legato all’impermanenza.

Ancora da definire gli influssi di questo karma che ognuno possiede come residuo delle scelte precedenti: il vortice animico del processo evolutivo dell’anima determina una catena di esperienze che devono risolvere certe esperienze che quell’anima ha scelto di vivere ed assorbire con la consapevolezza che un giorno saranno compensate da un grado elevato di consapevolezza: il nirvana.

Nel periodo che intercorre tra la morte fisica e la rinascita, l’anima vaga nel vuoto nella contemplazione e nel distacco dalle cose e decide finalmente di tornare ad essere in un percorso costante, consentendo quindi all’accumulo di questo Karma di prendere la propria direzione.

Prima o poi, presto o tardi ognuno giungerà alla purezza! Diventiamo migliori vita dopo vita perché la perfezione è il luogo di partenza ed il lugo di arrivo in questo formidabile viaggio che è la vita.

Queste le premesse per giungere alla mostra di Giovanna Grimolizzi. I suoi agglomerati materici utilizzano materiali estrapolati dalla realtà di riferimento ma assemblati creativamente in flussi di divenire costante atti a precludere un senso mistico di purificazione.

Non parliamo di una materialità latente: nelle sue opere è proprio la materia ad incarnare la manifestazione dello spirito. Nell’opera intitolata Il Divino, ad esempio assembla una struttura imperfetta costituita da una moltitudine di frammenti che nella loro sequenzialità scombinata raggiungono progressivamente l’armonia. Parliamo di un’armonia cromatica, strutturale e di conseguenza formale.

Ciò che ci sfugge lo rincorriamo inavvertitamente. Per mezzo di questa armonia siamo così in grado di distinguerne una legge interna ed il polimorfismo precedentemente analizzato giunge al suo compimento: l’uno è nel tutto ed il tutto è nell’uno.

Pensiamo ad un altro lavoro intitolato Sequenza di vita in cui crea un cerchio magico, quasi come un orologio cosmico che ricorda in termini avveniristici un sincronario maya millenario. In questa sequenza di codici o di caratteri galattici è descritto un destino universale dell’anima del mondo che torna ad essere.

La sequenzialità del tempo diviene un meccanismo ancestrale per mezzo del quale si evolve il cosmo stesso. Dal particolare all’universale e dall’universale al particolare. Come dire che nel percorso di una singola particella dipende l’evolversi stesso dell’universo.

Micro e Macro divengano parte armonica di un’Unità che si è scissa e lavora alla propria ricomposizione. Ecco definiti i presupposti di uno spirito universale scomposto in più parti ed operativo sulla scala temporale per giungere alla sua reintegrazione strutturale.

Esattamente come avviene nel flusso materico della Grimolizzi che scinde i propri agglomerati materici in una polifonia di parti a sé stanti per poi ricombinarli tra loro secondo un’armonia a noi sconosciuta, un equilibrio criptico che poi, un giorno tornerà a fluire correttamente.

La sequenzialità di cerchi, linee nel paradosso dei pieni e dei vuoti assumono pregnanza ed apparente squilibrio per poi riequilibrarsi in codici decriptati capaci di illuminare la vista dello spettatore.

Qui non siamo in presenza di forme o colori.

Siamo nella sfera di un corpo fatto di emotività e vitalità spirituale in cui la direzionalità della forma definisce un divenire costante proteso verso una temporalità perenne in cui il principio dell’eterno ritorno dell’anima raggiunge il suo apice espressivo. La Grimolizzi incarna queste costanti mediante pratiche assemblative che superano i novecentismi concettuali fondati sulla sperimentalità e l’esaltazione dell’ego. L’importanza dell’oggetto iconizzato nella sua sacralità diviene così un Totem archetipico mediante il quale il singolo essere si riconnette all’Ente Perpetuo colto nella sua totalità mediante un frammento che descrive questo divenire costante.

L’opera integra le costanti universali in leggi mistiche senza dimenticare mai l’importanza della materia, quale contenitore essenziale dell’evoluzione mistica. L’eterno ritorno della Grimolizzi descrive il destino karmico di ogni cosa finalizzato alla contemplazione di un universo in continua espansione – implosione – estensione nella consapevolezza divina dell’Eterno presente in cui e per cui tutto deve compiersi.

L’anima è pronta per vivere la sfera AtoMistica: ora tutto è compiuto.

La metamorfica trasposizione dell’istinto in carica spirituale si attua con questa mostra antologica di Rinascenza Contemporanea in cui una serie di artisti attuali sonda il principi psico – creativista di creazione induttiva, atta a portare sempre più in profondità la propria lettura del mondo esteriore. Quanto più si addentra, questa carica archetipica fuoriesce dagli schemi prefissati dalla civiltà e, seguitando l’istinto puro, trova la propria liberazione nell’elevazione dell’anima a vettore spirituale. Dall’uno al tutto. Partiamo dal primo artista Antonio Tolmi. Il senso estetico dei suoi vedutismi metropolitani incarnano un continuo divenire mediante un flusso formalizzato dall’essenza compositiva che trova attraverso l’oggettualità delle cose rappresentate la propria espressione. Dinamiche non troppo lontane da quelle stilistiche di Antonia De Padova in cui è proprio la figura umana ad ottenere il primato estetizzante attraverso un flusso cromatico che ne riempie le sagome introspettivamente. La bellezza viene colta mediante il senso della posa e l’equilibrio con lo spazio circostante. Presupposti esclusi dalle opere di Andrea Solaja in cui è proprio il corpo umano a risucchiare tutta la realtà circostante. In questo caso è la pura bellezza anatomica del corpo femminile ad assorbire il fruitore annullando la dimensione esteriore. Raffaele Giacomo Fazzalari invece è ancorato alla figura umana reagendo al contorno nero precedente con la totalità del bianco, quasi ad inserire il proprio soggetto in una possibile ricontestualizzazione spaziale. In questo gioco di rimandi rientra anche Alfredo Rossi legato alla classicizzazione del mondo di riferimento migliorandolo alla gentil maniera d’un ricordo senza tempo. Un attimo si dilata all’infinito e l’eternità prende corpo quasi come se avvenisse uno scatto fotografico. Vincenzo Comunale enfatizza invece gli agglomerati concreti della realtà in poetiche visualizzazioni pittoriche atte a coinvolgere lo spettatore sino a riportarlo indietro nel tempo nella soggettiva sfera dei ricordi. Ancora Giuliano Giuliani compie una parcellizzazione dello spazio in una serie di specchi rotti in cui la realtà viene rivissuta nella sfera intima di frammenti essenziali atti a ricostruirla nella mente dell’osservatore. Centrale nel percorso figurativo l’aspetto iconico condensato stilisticamente nei lavori di Giorgio Cavina. L’incontro tra passato e presente, tra oriente e occidente, tra sacro e profano giocano un ruolo fondamentale nei confronti di un discorso eclettico, bizantineggiante, stilizzato. Queste premesse inducono ai simbolismi pittorici attuati da Tiziano Calcari per mezzo dei quali isola l’oggetto di riferimento mediante la frammentazione spaziale incorporata dal bianco dominante secondo le sensazioni che quell’universo gli ha trasmesso. Da questo momento entriamo negli spazi microcosmici attuati da Linda Franceschini in cui il sapore di un dettaglio, il frammento di un universo così come l’antico ricordo di uno scorcio tornano alla memoria per essere rimossi pittoricamente. Proprio da questa rimozione nasce il simbolo di un anelito sottratto al presente. Alfonso Nappo si congiunge a queste consuetudini significative portandole ad estreme conseguenze: il pop gli consente di dissacrare la realtà elevandola a potenza evocativa. Ancora più intimistiche le visioni di Giulia Grassi. Le sue figurazioni sono concretizzazioni effimere di paesaggi scombinati sino all’astrazione simbolica del loro significato profondo in cui risiede la via della liberazione. Da qui partono le dissacrazioni autocelebrative di Andrew Tosh, per mezzo delle quali traspone l’universo circostante in modulazioni ironiche atte all’elevazione dell’istinto mediante la celebrazione dell’effimero. Pietro Disegna elude questi concetti anestetizzando il concreto mediante flussi emozionali di colore proteso verso le sfere profonde del suo essere creativo e libera la forma dalle catene dell’oggettività. Anche Antonia Salghini compie questa analisi concettuale. La compartimentazione degli spazi secondo l’anatomia strutturale dello spazio giunge ad una dilatazione del tempo sino a raggiungere l’anima del mondo. Da qui è possibile intendere gli assemblaggi materici compiuti da Armando Trasforini, fautore di un linguaggio composito per mezzo del quale ogni singolo elemento diviene parte del tutto così come quest’ultimo si scinde nella molteplicità delle cose. Qui Piero Racchi conclude il composito percorso ideale. Realtà ed astrazione coincidono sul piano esecutivo così come i sogni e la vita in quello esperienziale. L’uomo crea come la natura e le possibilità aggregative della stessa risultano finalmente superate.

Numerosi gli artisti coinvolti. Numerose le opere esposte. Numerosi i risultati stilistici e tecnici di ognuno di loro. Forma e colore hanno smesso di collaborare tra loro per la rappresentazione del mondo esteriore. I gradi oggettivi dell’Io, attraverso la purificazione del Super – Io hanno finalmente toccato l’ES. L’eros come il Thanatos, la vita e la morte, la realtà e l’astrazione sono stati portati ulteriormente in profondità da ognuno di loro, in mille risultanti tecniche e stilistiche. Questi decani dell’introspezione hanno guardato dentro sé stessi ed hanno abbracciato il mondo animandolo con i propri mezzi. In questo processo elaborativo l’inumanismo trova compimento: le zone superficiali dell’IO sono state finalmente scardinate così come le connotazioni di un Super – Io imperante. L’Es contempla questa linea di confine, questo margine ineluttabile in cui l’essere puro torna all’origine. L’istinto, il subcosciente così come la coscienza trovano il loro slancio verso qualcosa di sovrumano ed indescrivibile.

Siamo prossimi alla liberazione dell’Anima intesa come vettore essenziale che naviga attraverso l’infinito verso regioni inesplorate: connotazioni che sradicano l’Inumanismo in qualcosa che va oltre l’uomo. Siamo ai margini dell’AtoMistica Creativa.

In questa terra di nessuno l’essenza della vita e dell’arte si intersecano in un vortice essenziale ed in una serie di livelli mistici atti al raggiungimento della consapevolezza. Il punto di contatto e di sincronicità verranno prossimamente affrontati in una nuova mostra intitolata Karma che toccherà i differenti livelli che l’anima affronta per raggiungere la perfezione. Qui un’artista torinese, Giovanna Grimolizzi, aprirà questo varco dimensionale.

Al momento godiamoci la PsicoCreazione di questi maestri senza tempo che per mezzo delle loro opere ci consentono di guardare il mondo e noi stessi con occhi diversi. Il grado di consapevolezza individuale giunge così al culmine di un percorso analitico affrontato mediante una lunga ricerca.

Partendo dalle premesse concettuali delle mostre precedenti, Rinascenza Contemporanea ha il piacere di presentare la mostra personale dedicata a Maria Pia Zaccaro intitolata MACROBIUS. I presupposti della Sincronicità. E di sincronicità junghiana parliamo: secondo la quale vengono descritti due eventi connessi tra loro a-casualmente ovvero una relazione coincidente di fattori atemporali relazionati da un analogo contenuto significativo.

Pensiamo al fatto di immaginare qualcosa ed incontrarla proprio in quel dato istante o ritrovare concetti elaborati individualmente all’esterno. Dunque parliamo di una connessione di due fenomeni distinti che accadono in spazi diversi ma nello stesso tempo quindi non determinati direttamente da un effetto perché puramente casuali.

Parliamo dunque di coincidenze significative da non confondere con il sincronismo basato sulla simultaneità di due eventi distinti che agiscono sullo stesso piano temporale.

Secondo queste premesse non dobbiamo leggere la sincronicità come antitetica alla legge di causa-effetto: l’esempio lampante è ad esempio considerare la legge del Karma l’insieme delle connessioni protese verso la manifestazione così come la sincronicità si attua nelle cause divine dei miracoli.

Secondo questa scia Jung determina l’importanza dei presentimenti, dei sogni o delle visioni stesse come espressione di attuazione nel mondo ordinario valutando così l’esistenza di un universo misterico che va oltre la causalità finalizzata ai preordini legati allo spazio, al tempo ma ad un eterno onnipresente di cui la psiche funge da trasformatore di energia del mondo archetipico ed atemporale in frequenze di vibrazioni pure che diventano così manifeste spazio-temporalmente.

Questi postulati connotano l’inter-relazione tra lo stato psico-mentale di un soggetto e gli eventi che si connotano esteriormente simultaneamente indipendentemente dalla propria volontà o concezione logica. Dunque solo un individuo capace di ricordare il futuro sarebbe, in altre parole, capace di comprendere a fondo il principio di sincronicità. Secondo i postulati della fisica quantistica esisterebbe un destino preordinato dall’Universo permettendo al miracolo della vita, dell’intelligenza e della coscienza di esistere e la mente umana diverrebbe semplicemente un ente collaborativo alla creazione stessa dell’universo.

Come dire: mente-spirito, cervello-materia cooperanti per la creazione di una super-coscienza creazionista. In altre parole due particelle che precedentemente hanno interagito tra loro una volta separate e messe a distanze esorbitanti comunicano simultaneamente determinando un flusso energetico ultra-dimensionale. E Macrobius, indica simbolicamente questo Macro-equilibrio diffuso in tutte le sue parti in cui entrano in relazione complementare i presupposti spaziali con quelli temporali e quelli causali con quelli sincronici appunto.

Questi dati analitici ci mettono subito in rapporto all’artista pugliese Maria Pia Zaccaro. Sappiamo di lei che ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Bari sviluppando nel campo della pittura e degli affreschi una consapevolezza esecutiva. Il senso estetico derivato da maestri informali di fama internazionale l’hanno spinta a curare la dinamica dei colori all’interno di strutture circolari che ricordano cosmogonie ancestrali. Importanti critici hanno scritto di lei come Paolo Levi o Vittorio Sgarbi riscontrando successo nell’ambiente artistico italiano pensando alla Prima Biennale della Creatività in Italia di Padova nel 2014 sino ad esposizioni di fama internazionale come l’Artexpo di New York essendo già stata selezionata tra i primi trenta artisti provenienti da  tutto il mondo allo Shangai Art Festival.

In lei i presupposti macrobici, così come li abbiamo definiti precedentemente emergono notevolmente considerando la sua dedizione ad una manifestazione di espressione pura in cui la forma ottenuta dalla stesura cromatica costituisce un determinismo esecutivo ottenuto proprio dalla dilatazione delle costanti logiche.

In lei le concezioni di spazio, di tempo così come di causa-effetto sono strutturali quali espressione di un divenire nella determinazione dell’opera stessa: le emozioni, le sensazioni così come la componente onirica proveniente dalle remote regioni dell’inconscio vengono in superficie mediante l’assemblaggio psichico dei flussi gestuali del colore, al limite delle celebri sgocciolature pollockiane.

Eppure, proprio partendo da questi presupposti logici determinati dalla scelta del supporto, dalla circolarità della struttura di riferimento, dall’impeto del gesto, dalla pastosità della materia così come dalla sintesi del segno parte per uno slancio ideale successivo.

Inconsciamente, mentre il libero fare artistico trova il proprio estro nel suo divenire, l’ispirazione cosciente rapportabile al concetto di coincidenza significativa nell’asserzione junghiana torna in superficie in senso stretto.

Una sorta di preveggenza creativa sincopata ad un gesto causale che desidera un conseguente effetto, trova nuove vie espressive e ciò che era stato sentito in termini emozionali prende forma in opera d’arte.

Quasi come se le particelle costitutive della sua fantasia trovassero riscontro nella realtà di riferimento a cui torna in maniera lucida ed impetuosa al tempo stesso.

Ecco allora la sincronicità prendere via via corpo e divenire stato effettivo di un processo intimo che viene in superficie preordinato ad un equilibrio cosmico ed i contenitori circolari racchiudono questa significazione mediante la visibilità oggettiva.

La Zaccaro creando anticipa i tempi esecutivi della sua stessa opera: in altre parole la mistica di poter ricordare ciò che non è ancora o che è celato alla vista poiché incombe in un lontano futuro.

In questo senso gli aspetti ancestrali, mistici e divinatori vengono in superficie e lo spettatore è posto direttamente al cospetto delle proprie emozioni, delle proprie sofferenze o dei sogni obliati dalle necessità esistenziali. I sogni prendono corpo sul supporto ed il risvegliato si rende conto di essere ancora immerso nel mitico universo delle idee.

Rinascenza Contemporanea giunge così alla sua ultima sezione del ciclo inumanistico: l’Es che nella determinazione freudiana costituisce la voce della natura dell’animo umano ovvero quelle spinte involontarie che inducono la natura stessa verso pulsioni sessuali (Eros) e distruttive (Thanatos).

Siamo nella sfera dell’istinto puro in cui pulsioni indeterminate ed incontrollabili governano lo stato del soggetto pensante nonostante i gradi coscienti e super-egotici atti al controllo. Proprio nell’Es è ravvisabile una componente strutturale di ricordi rimossi che nel tempo hanno modo di venire a galla o di essere immagazzinati sino alla loro completa rimozione.

Proprio da questi contrasti insorgono nevrosi, ovvero disturbi generati dal conflitto tra l’Io ed un Supe-Io che non li vorrebbe ricordare. Lo stato di impersonalità di questa struttura psichica agisce in maniera incontrollabile determinando la reale personalità del soggetto in questione.

Questi preordini ideali inducono alla caratterizzazione istintiva delle opere esposte in questa mostra.

Da una parte spiccano i dati oggettivanti espressi dai lavori di Gabriele Marchesi, in cui la figurazione seguita il concetto di una posa ieratica al limite d’un simbolismo che esalta la forma così come l’aderenza ad una realtà esaltata dalla lucentezza dei colori, delle tinte, del chiaroscuro. Il senso di verità giunge al limite del possibile varcando le lande dell’iperrealismo. Ecco dunque, il superamento della realtà in qualcosa di più profondo, perfetto, mistificato dal quale la misterica natura selenica della figura femminile viene gradualmente in superficie sconfinando nel sogno.

In questo senso si formalizza lo stile di Maria Pia Contento, che parte proprio dal senso classico di una posa idealizzata sino a scomporne la struttura portante in slanci effimeri che diramano le proprie spire compositive in simbolizzazioni della forma ancorata al colore liberatorio, al gesto elusivo, al paradosso celato. La forma diviene solo un pretesto per esprimere la natura dalla quale tutto parte per giungere poi alla sua liberazione, ad uno stato in cui le apparenze crollano e le verità mutano significato.

Il giovane Victor Manole, decide di superare queste barriere formali dinamizzandole proprio con una cromia dilatata. Il senso pop della sua pittura libera la forma giacente dalle catene della logica e la proietta in avanti, mantenendo sempre un grado di riconoscibilità. Ma la sua visione oggettivante vuole autocelebrarsi in qualcosa di nuovo per svincolare la contingenza dall’immediatezza e trasporla sotto gli occhi di tutti verso stati latenti del pensiero mosso proprio dalla violenza del colore e del gesto.

In questa scia di simbolizzazioni formali non possiamo che celebrare le sacre rappresentazioni pittoriche di Elena Izzo. Visioni religiose in cui Madonne, angeli e santi innalzano ciò che è umano in qualcosa di mistico sino all’iconizzazione pura che perde di vista la realtà di riferimento riconfigurandola in una celebrazione spirituale secondo la quale ciò che è umano non è più umano ma divino e ciò che è divino oltrepassa l’immediatezza realistica di riferimento.

Da questo momento in poi possiamo entrare negli universi capovolti attuati dall’estro di Tiziano Calcari. Qui il contenitore formale è stanco di soggiacere alla logica rappresentativa: i confini logici dunque, decadono e le cromie strabordano come i margini d’un fiume in piena sino ad inabissare tutto ciò che si struttura intorno. La rappresentatività dell’ordinario diviene solo un punto di riferimento marginale per superare la simbologia, l’iconizzazione ed i tutto assume le connotazioni di segnali metafisici in cui la poetica dello sdoppiamento, dell’indicizzazione o della direzionalità visiva inducono ad un’astrazione figurativa. In questo senso prendono corpo le opere realizzate da Mario Salvo. L’impulsività di un gesto, la matericità di un passaggio così come la radicalizzazione di un momento transitivo vengono rievocati in composizioni pulsionali determinate da stati latenti di un’espressionizzazione fluida in cui la natura umana giunge direttamente in superficie. Paesaggi intimi, introspettivi, estrattivi fondati sul desiderio imperturbabile di decantare stati dell’anima non ancora filtrata dalla razionalità. Il processo di de-razionalizzazione prende finalmente corpo attraverso la dinamica pura dei colori, delle atmosfere e delle passioni intime.

Secondo questi dettami compositivi gli artisti in esposizione esprimono il comune desiderio di valicare proprio attraverso la figurazione, l’oggettività così come i dati del mondo concreto, un confine logico dettato dall’Io così come dal Super- Io e cercare in profondità la propria coscienza.

Un coscienza angelica, mistica, pura e non contaminata dalle ferree leggi di un mondo coscienziale o pre-coscienziale costituito da regole predefinite in cui la libera natura così come l’iniziativa istintiva vengono offuscate.

Il motto psicoanalitico infatti, determina queste zone indomite come aree inesplorate da cui il motto “Noi veniamo vissuti!”. Vissuti da quella parte inesplorata che abbiamo sempre più obliato perché immersi nella positivistica società della razionalità, del progresso e della tecnologia. Che fine ha fatto l’essere umano? Il bambino che esplora il mondo circostante è oramai cosciente di tutto? Non ha più domande da formulare al Creato?

Se l’istinto è stato domato dal progresso al punto di renderlo sterile dalla fredda logica sembra inutile ogni domanda. Tutto ha una risposta, una configurazione possibilista in cui il qualunquismo domina imperante.

Se a questo aggiungiamo la dose di adattamento iper-tecnologico in cui ogni essere è ridotto a soggetto de-soggettizzato mediante l’abuso di macchine capaci di distrarre le menti, controllarle o prendere il sopravvento sulla curiosità individuale. Nell’era iper-individualistica la destrutturalizzazione umana è giunta al massimo grado della scomparsa dell’Io – individuo capace di scindere la realtà dalla fantasia. Il Super – Io domina incontrastato per stereotipi precostituiti dalla matrice sociale e l’Es, ovvero l’istinto puro è sodomizzato, snaturato, rinchiuso nella gabbia della pre – logica.

Le vie dell’Es sono le connessioni individuali di artisti – visionari stimolati dalla voglia di comunicare al mondo esterno il loro autentico modo di essere internamente: una sorta di viaggio siderale che parte dalle regioni incognite della loro anima che a stento si riconfigura col mondo esteriore, anzi: un anelito al desiderio universale di giungere alla piena liberazione dello spirito.

Le ricerche estetiche di Rinascenza Contemporanea attraverso il ciclo Inumanistico hanno attraversato le regioni superficiali della dimensione cosciente dell’Io sino a penetrare progressivamente nel Super – Io in cui i paradossi di un’educazione storicizzata hanno condizionato l’Essere nei suoi rapporti con la sfera intima.  Entrando sempre più in profondità questa trasposizione verso l’Es puro ci siamo calati nella sfera del sogno in cui i dati irrisolti della psiche che sono andati progressivamente accumulandosi nel baratro della rimozione sono tornati in superficie sino a costituire nuovi slanci dell’Ego conscio finalmente di sé stesso. La mostra che chiude questo slancio emozionale nei meccanismi superegotici si intitola ONIRICON. New Visual, ed ha come protagonista assoluta l’artista Giuseppina Freni.

Sappiamo di Lei che ha iniziato a dipingere nella propria spontaneità discorsiva già all’età di nove anni in una trattoria nei pressi di Catania ove conobbe il maestro Renato Guttuso. Ricorda la nostra artista che il Maestro vedendo il suo giovane talento: “ …dopo aver mangiato, si diresse verso la macchina, aprì il cofano e tirò fuori un cavalletto da campagna ed una valigetta di colori”. Poi aggiunge: “…da allora non ho mai smesso di dipingere ottenendo riconoscimenti di pregio!”.

Così è stato. Ha vinto in Italia più di una decina di concorsi tra cui anche il Leone d’Oro di Venezia nel ’90, ha esposto a Viareggio nel ‘94 nella Galleria d’Arte 2000, ha vinto il terzo premio internazionale a Nizza sino alla laurea ad  honoris causa dell’Accademia di Santa Sara di Alessandria che le ha  pubblicato su Modern Art la sua biografia od il primo premio della critica italiana oltre che numerose mostre di cui personali a Palermo e Londra.

La nostra Artista è fautrice di nuove visualità. L’esperienza pittorica dell’artista siciliana trapiantata oramai da tempo sulle rive del mar Ligure determina un senso di trasporto estatico che affonda le proprie radici nel senso intimo di ciò che rappresenta attraverso la figura realistica.

Parliamo di un realismo appunto, che proietta la concretezza nella posa del soggetto correlata all’ambiente di riferimento in cui si delineano i diversi personaggi intrisi di un’ironia critica a volte disorientante.

L’aspetto cromatico viene così assorbito dall’espressione formale in un tutto armonico progressivo.

L’amore che nutre per l’arte diviene capacità esecutiva e trova nel supporto terreno fertile per decantare le significazioni così come le atmosfere che colpiscono la sua fantasia realizzativa. Una fantasia in continua trasformazione che non si accontenta solo di divenire autonomamente ma di condividere con il pubblico queste sensazioni eternizzanti.

Parliamo proprio di un fantasismo descrittivo che consente all’artista di immergersi nei particolari senza trascurare la vista d’assieme, nel senso compiuto d’una coralità che annunzia la propria visione del mondo partendo dal presupposto che ognuno di noi sia una parte essenziale per il tutto e che questo abbia assoluta necessità di ogni sua minuscola componente. Questa tipologia di identificazione con le cose giunge nelle terre incognite della psiche che avvia un processo di cristallizzazione verso lo spazio ed il tempo di riferimento. Ecco allora in atto concetti di spersonalizzazione, di straniamento o di impersonalità si connaturano in una forma di  coralità che si amalgama in agglomerati di ricerca estetica.

Ecco allora il senso di coralità offerto da opere come La città della Musica, come del Ballo d’Autunno o Come in una Fiaba, in cui la trasposizione volutamente grottesca dei personaggi spersonalizzati viene connessa all’espressione corporea, ai singoli gesti, ai minimi atteggiamenti correlati allo spazio circostante inteso come la quinta di un palcoscenico assoluto. L’assieme delle singole parti agisce come un corpo unitario e dalla pluralità si arriva alle infinite possibilità di un essere solo, puro, assoluto.

Il senso di spersonalizzazione infatti, parte da questi palcoscenici metafisici inducendo così lo spettatore a sentirsene parte effettiva assorbito centrifugamente nel vortice delle relazioni psichiche sino a cadere nello straniamento assoluto, nell’impersonalità totale in cui è possibile essere come non essere più, far parte di un equilibrio preesistente come starne ai margini, vivere attivamente per mezzo della passività. Paradossi intellettivi mossi da un desiderio stilistico di sondare le vie dell’imperturbabilità in cui l’Ego sembra consumarsi.

E’ come se la Freni intendesse l’arte come uno specchio sul mondo attraverso il mondo filtrandolo attraverso la propria sensibilità artistica. E per questo decidesse di spegnere i riflettori sul proprio Io e condensare le atmosfere, le sensazioni ed i sentimenti in un tutto armonico capace di filtrare e restituire come uno specchio riflettente i suoni e le forze materiali provenienti dall’esterno. I questo processo di rinvii, la smaterializzazione dell’Io si proietta verso il palcoscenico del mondo in cui i fantocci svuotati di corpi anonimi si coagulano in agglomerati collettivi.

La perdita dell’Io e la sua repentina caduta nel qualunquismo contemporaneo riducono l’uomo a maschera perenne, assorbita da un ruolo di riferimento, a numero vuoto. I valori dettati dall’educazione divengono intrecci formali in cui l’uomo non ha scampo. In questa prigionia del colore nella forma così come dello spirito nella carne divengono i pilastri sui cui edificare il discorso pittorico della Freni ed il sogno diviene l’unica possibilità per lo schiavo di trovare la via della salvezza.

Le sue composizioni decantano il mondo ideale in cui viviamo rendendo grottesche le espressioni conviviali, abituali ovvero relegate dall’impoverimento collettivo della normalità chiamata convenzione.

La Freni comunica con la psiche di chi si ferma davvero ad osservare i suoi lavori: lo blocca, lo cristallizza, lo immerge in questi spechi riflettenti e lo rigetta nel mondo dal quale lo aveva per un attimo estrapolato, facendogli capire che la realtà di riferimento è solo il sogno di un sogno che sta ancora sognando. Il momento del risveglio così corrisponde alla consapevolezza di essere immersi in un altro sogno.

Il percorso di Rinascenza Contemporanea continua nel suo approfondimento psico-creativista inumanistico attraverso la figura di Mario Sergio Calzi. Artista italiano nato a Rosario in Argentina è sostanzialmente un autodidatta che nel corso della sua carriera artistica ha continuato a sperimentare tecniche differenti. Nel suo concetto di creazione infatti, ha sempre dipinto con il cuore esprimendo sulla tela le sue passioni, le sue sensazioni sino ad approfondirle attraverso la concezione sperimentale del divenire attraverso il flusso della composizione. Sappiamo che dal 2014 ha deciso di dedicarsi completamente a questa passione mettendola accuratamente in pratica. Nelle sue opere il senso raffinato di un’estetica moderna, fresca, vibrante connota sicuramente un’aderenza cerebrale alle dinamiche espressive del secolo scorso, pensando alla stilizzazione metafisica di sicuro impatto surreale ma di chiara derivazione concettuale in cui la post-modernità neo espressiva radicalizza il divenire materico del colore in compartimenti dominanti della forma. Il realismo sintetico ottenuto denota una pregnanza critica ai fattori culturali di riferimento sino a filtrarli attraverso un discorso purificatorio a metà strada tra il mondo ordinario e quello introspettivo delle sensazioni.

Queste le ragioni che hanno indotto alla scelta di questo artista per il percorso di due mesi intitolato Morpheus. Il creatore delle forme.

Secondo il mito greco antico Morfeo era figlio della Notte e di Ipno che simboleggiava il sonno. Secondo queste visioni il dio ogni notte si avvicinava al dormiente penetrando silenziosamente nella sua mente ed assumeva le forme delle persone sognate trasmettendo dei messaggi, presagi o visioni di cose già contemplate nell’Olimpo. Infatti il suo nome indica la forma. La forma delle idee da una concezione platonica che risiedeva a sé stante nell’Iperuranio. Secondo questa leggenda aveva anche due fratelli di cui Fobetore che faceva apparire figure animali od incompiute sino ad indurre all’incubo e Fantaso orientato invece verso le cose inanimate proiettando così il sogno verso la quiete.

Morfeo aveva splendide ali che lo inducevano a muoversi nell’assoluto silenzio. Come il dio della morte sradicava l’anima dal corpo del dormiente illudendola di visioni ancestrali ma, alle prime luci dell’alba, quando sopraggiungevano i suoni del mondo reale, lui volava via riconducendo il mortale alla realtà. In molti casi portava via le sue forme lasciando buia la mente del risvegliato.

Altre volte invece non riusciva nell’impresa ed alcune forme restavano impresse nella mente di colui che le avrebbe interpretate cercando di scrutare oltre le proprie possibilità terrene. Concetti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio o dall’Iliade omerica in cui veniva relativizzato il mondo degli dei a quello degli uomini perché entrambi condizionati dal sonno e dai sogni.

Morfeo rappresenta il trapasso da un mondo all’altro. Ma costituisce anche una condizione: il dio si nutriva delle emozioni dei mortali per ricordare le proprie oramai cancellate dal silenzio eterno della notte. Più le sue forme erano obliate più la sua natura si colmava di energia benefica. Più restavano impresse nel mortale, meno beneficio ne traeva.

Nei lavori di Calzi ho recepito queste connotazioni direzionali. Nel gruppo delle figure umane coglie l’aspetto emotivo generato dalla sensazione immediata della posa in cui il carattere estatico induce al desiderio di una bellezza eterea, immortale, pura. Così come in quelle scene di vita quotidiana che rinviano al ricordo od alla proiezione di eventi che ancora non hanno un effetto compiuto nel mondo ordinario.

In altre sezioni invece è la volta di rappresentazioni fobetorianee in cui la forma incanala il colore in gesti materici che dinamizzano la stasi precedente sino a radicalizzarla in moti involontari. Il Sé è schiacciato dalla preponderanza di un Io che assume le proprie connotazioni logiche od al limite di un logica polimorfica.

Così come nella sezione dei paesaggi che inducono alla quiete di Fantaso ed al senso di pace delle emozioni dapprima scosse con energia.

I flussi emozionali di queste direttive compositive spingono Calzi più in là: i dettami della realtà evocata non la rappresentano affatto come potrebbe risultare dall’immediata osservazione di questi lavori.

Come abbiamo visto per l’astrazione, il Sé formale è schiacciato dalla potenza cromatica dell’Io anche quando siamo in presenza di figure umane dai tratti comunicativi.

Il colore coordina la forma trasponendola virtualmente verso zone introspettive dell’artista sino a scendere in quelle regioni subcoscienti facenti parte della sua esperienza personale. Il colore diviene luce e la luce ingloba ed irradia le sue tele. Parliamo quindi di un onirismo metafisico atto ad inglobare l’osservatore attento, convinto di penetrare ulteriormente la realtà di riferimento ma indotto a vedere dentro l’anima.

Esattamente come il dio Morfeo o le sue manifestazioni complementari, ovvero Fobetore e Fantaso che leggevano ed interpretavano attraverso la forma quelle caratteristiche del soggetto dormiente e le riportava in superficie.

Lo spettatore innanzi ai suoi lavori penetra dentro sé stesso e vede ciò che sente. Vediamo se Calzi, come Morfeo tratterrà le singole emozioni o lascerà qualcosa in chi andrà via. 

Uno degli aspetti più interessanti del passaggio dalla dimensione cosciente a quella incosciente è caratterizzata dal contrasto Veglia/Sonno applicabile a qualsiasi forma vivente. E’ costitutiva poiché definisce un livello di rigenerazione energetica atta ad un ripristino delle funzioni mentali, psichiche e spirituali mediante la perdita momentanea della coscienza intesa come fulcro portante della volontà. A livello cerebrale l’aspetto strutturale del sonno appare come un complesso meccanismo organizzato in diversi stadi articolati in una progressione sequenziale mediante i quali il soggetto affonda gradualmente nelle regioni inesplorate del proprio Es. Nel sonno aumentano le barriere percettive tra il mondo cosciente ed il mondo esterno così come l’aspetto sensoriale vigila in maniera categorica tale limite difensivo. Barriere vegetative che mantengono intatta una funzione basilare per l’equilibrio esistenziale e delle funzioni regolatrici. Le diverse fasi possono essere così sintetizzate: dapprima c’è lo stato di veglia in cui il soggetto è rilassato con gli occhi chiusi. Nel primo stadio l’attività cerebrale rallenta, nel secondo invece entriamo nella fase del sonno leggero in cui abbiamo brevi esplosioni cerebrali. Nel terzo stadio detto sonno profondo entriamo nelle dimensioni nascoste sino al sonno profondo effettivo dove ci rigeneriamo e l’attività cerebrale rallenta progressivamente. Lo stadio REM è caratterizzato da movimenti oculari rapidi ed avviene mediante la paralisi momentanea dei muscoli perché qui si originano i sogni. E’ il momento in cui il cervello consuma glucosio e ossigeno quasi come se il cervello fosse sveglio e svolge attività intellettuale. Risale al 1953 lo studio di Eugene Aserinsky e Nathaniel Kleitman che distinsero la fase REM ovvero dei movimenti oculari rapidi alternata alla fase non REM determinata dai primi quattro stadi in percorsi progressivi determinati dal grado di profondità raggiunta.

Queste le premesse della mostra personale di Vanda Caminiti che Rinascenza Contemporanea ha il piacere di presentare sino al 22 novembre. Laureata in Scienze Umane e Storia ed in Giurisprudenza ha svolto diverse attività come Dirigente amministrativo presso il Comune di Roma, sottraendo gran parte del tempo alla pittura. Ma non ha mai abbandonato il suo sogno: ha vinto il Premio Internazionale “Maggio romano”. E’ stata nominata Accademico Emerito presso l'Accademia ”Roma città eterna” Ha realizzato una personale presso la Ciso cultura in Via S. Girolamo della Carità 64, Roma. Una successiva Personale è stata allestita presso la Galleria d'arte S. Marco in Via del Babuino 61, Roma. Ha partecipato ad un'altra collettiva presso la Domus Talenti in Via delle Quattro Fontane, sempre a Roma. Attività minori sono state realizzate in altre collettive e concorsi anche on-line.

E’ stata scelta per questa personale proprio per questa alternanza stilistica tra il mondo reale e quello dei sogni. Incarnando i processi evolutivi di un percorso che la porta sempre più nelle profondità recondite dello spirito. Pensando ad opere come Le amicizie pericolose ad esempio od a L’harem, ci riconnettiamo a quello che abbiamo definito stato di veglia in cui il soggetto è rilassato con gli occhi chiusi. Ecco allora muoversi immagini che riportano al trascorso od all’auto- identificazione nel rispecchiarsi dormienti.

Seguendo questo filone narrativo proseguiamo nel primo stadio in cui l’attività cerebrale rallenta ed ecco proiettarsi immagini statiche come la Ballerina o La zingara in cui il senso della posa e della fissità dello sguardo definiscono una discesa ulteriore nelle zone recondite della coscienza. Il secondo stadio del sonno leggero lo ritroviamo in Estate cui la fissità precedente proietta la mistica e lo sganciamento parziale dall’universo concreto per affondare in quello ideale.

Entriamo così nel terzo stadio detto di sonno profondo in cui avviene lo sganciamento dai ricordi e dalle esperienze dirette. In questa sorta di vuoto primigenio i sensi si ricaricano di potenza. Tempesta iconizza questo passaggio, questo varco transitorio tra un mondo e l’altro.

Nel quarto stadio ossia nel sonno profondo effettivo ci riporta a Tattoo così come alla sensualità mistificante de La rossa in cui siamo pronti oramai per il viaggio definitivo nella sfera del sogno. Il sogno come Serata al mare caliamo progressivamente nel calderone inconscio delle sensazioni in cui tutti gli elementi logici che negli stadi precedenti perdevano progressivamente il loro contatto con la realtà o le coerenze dettate dalla logica, ora si amalgamano in frammenti ideali di immagini svuotate del loro significato. Siamo nella fare REM. Nel luogo non-luogo dei pensieri svuotati.

In questa zona senza ritorno i dettami inconsci del Super – Io vengono obliati e l’Es, il nucleo divino dell’essere puro ragiona per costrutti serviti ancora da una memoria vegetativa connotata da micro-esplosioni sinaptiche di pensieri remoti. In altre parole un ricordo viene inteso attraverso la sensazione che quel ricordo ha suscitato e questo prende forma in immagine. Questa però si connota ad un’altra derivante da contesti attigui che genereranno impressioni improvvise. Da qui si origineranno nuove immagini e linee di pensiero involontarie.

L’universo dei sogni vive ancora a metà tra l’aspetto cosciente perché influenzato da suoni, odori, luci provenienti dal mondo esteriore e la dimensione animistica dell’universo interiore. Forse è il luogo in cui entriamo a contatto con l’elaborazione diretta delle nostre emozioni, dunque nello stato puro dello spirito che muta a seconda delle stagioni dell’anima individuale.

Vanda Caminiti percorre queste lande inesplorate. Affonda le proprie dinamiche creative in questi labirinti dell’essere pensante in cui l’immagine composita si spoglia delle costanti logiche che l’hanno determinata ed arriva la nucleo essenziale dell’Es il quale genera stati involontari della coscienza per poi essere riassorbiti dalla ratio e tornare in superficie in costrutti razionali. Il sogno è l’appagamento di un desiderio che finalmente trova nel mondo la propria manifestazione.

Il percorso di ricerche comparate attuate da Rinascenza Contemporanea sulla linea psico-creativa continua in questa mostra dal titolo HYPNOS. Il preconscio creativo, attraverso la quale la dimensione preconscia occupata dal Super-Io affonda ulteriormente nei labirinti indomiti della mente ancor prima di trovare forma ed espressione nel fare artistico. Comunemente sappiamo che l’ipnosi è uno strumento che consente di accedere alla dimensione inconscia sino a sondare aspetti emotivi trascurati direttamente dalla ratio del soggetto attivo. Attraverso le metodologie ipnotiche vengono coinvolti gli aspetti fisici e dedotti dalla realtà di riferimento come quelli psichici e indotti dalla sfera comportamentale. In altre parole stiamo parlando di una condizione psicologica quanto neuro-fisiologica per mezzo della quale un normale individuo funziona, pensa o continua ad agire consapevolmente indotto però da un livello di maggiore concentrazione senza avere ulteriori velami di manipolazione esterna. Si tratta di una nuova organizzazione strutturale della mente che le moderne università scientifiche definiscono come manifestazione plastica dell’immaginazione creativa orientata mediante un operatore esterno capace di veicolare la struttura del pensiero in una determinata direzione. Prima delle ricerche svolte verso la metà del Settecento da Franz Anton Mesmer, tutto ciò che aveva a che fare con questa disciplina veniva attribuito al mondo diabolico o divinatorio sino a scaturire nella sfera magica sino a James Braid che nell’Ottocento relazionava il fenomeno alla dimensione del Sonno.

La caratteristica fondamentale dell’ipnosi consiste nel penetrare mentalmente nel proprio vissuto e variarne le matrici essenziali modificando i criteri di percezione reagendo a nuovi stimoli che prima risultavano indeterminati. Una variazione del vissuto sensoriale che induce il soggetto ad una nuova consapevolezza introspettiva riordinando vuoti, amnesie o mancanze scaturite dal dolore. Parliamo di una sorta di regressione dallo spazio e dal tempo di riferimento in cui il senso dell’Io viene momentaneamente allontanato dai suoi cardini esistenziali sino alla perdita od alla rimozione del dolore fisico e mentale.

E’ raggiungibile attraverso lo stato di trance per poi inserire le suggestioni che stimoleranno rappresentazioni mentali orientate verso mete ben definite. A questo punto le caratteristiche psico-fisiche del soggetto saranno pregnanti perché dovranno incanalare atteggiamenti tipici a variazioni di sorta capaci di tradurre un atteggiamento abituale in una neuro-trasposizione che rivoluzionerà gradualmente un modo di essere e di concepire la natura del mondo circostante. Un effetto domino, a catena che trasformerà l’idea del soggetto in dinamismo attivo. L’obiettivo da raggiungere mediante un’idea espressa plasticamente mediante una rappresentazione mentale che prenderà forma in un comportamento indotto. Queste le premesse per una forma d’arte mossa dalle fondamenta dell’auto-ipnosi artistica attuata dai nostri artisti nel momento della gestazione creativa. Pensiamo alle elaborazioni materiche attuate da Chiara Cascione in cui il riferimento portante alla sua terra natìa viene veicolato dal suo attaccamento alla Grande Madre ovvero alla terra magmatica che si trasforma, che esplode e partorisce nuova vita. Un concettualismo che trova manifestazione nella manipolazione diretta dei materiali che generano nuove forme estetiche di un pensiero in movimento. Antonella Botticelli deduce questi stati attraverso un rigore plastico che diviene gradualmente mediante la direzionalità cromatica in cui i pieni ed i vuoti si connaturano in nuovi spazi intesi come silenzi di una realtà rimossa che solo il ricordo forse è in grado di riportare a galla. In questo senso osserviamo i lavori di Virginia Fabbri decana d’un figurativismo che deriva dalla rimozione di stadi indeterminati del suo percorso concreto: l’astrazione delle sensazioni da fatti concreti che l’hanno preceduta la inducono a sospendersi nella corposità di atmosfere che non trovano limiti tangibili e le geografie dell’anima prendono sfogo contemplativo. A questo punto emergono i lavori di Debora De Flaviis, che immerge il suo spirito in griglie geometrizzate atte a suddividere fisicamente aree del suo divenire terreno in cui l’anima del mondo fa da sfondo ad un tutto armonico che costituisce la sintesi del suo universo. La profondità dello spazio induce a scavare in profondità sino a naufragare in nuovi mondi tangibili. Ecco allora il senso della figuralità evocata da Laura Evangelisti, in cui la spazialità fisica decade in nome di una temporalizzazione cromatica dalla quale o per mezzo della quale il simbolismo di riferimento induce l’artista a issare stati emotivi che l’hanno colpita sino al punto di fissarli in qualcosa di più profondo. Ed è qui che assistiamo ai paesaggi realizzati da Isidoro Lorenzini in cui il senso profondo dei contrasti naturali tra il cielo ed il mare, tra la vegetazione e la grandezza della natura circostante riducono l’uomo ad osservatore assente proteso verso stati nostalgici di un mondo in trasformazione che lo contiene escludendolo istantaneamente dalle ragioni del suo divenire.

Le diverse maestranze coinvolte occupano settori ben codificabili di atteggiamenti differenti nei confronti della propria realtà interiore.

In ogni modo la forma auto-ipnotica di gestazione creativa propone impieghi diversi del fare artistico rivolto al controllo delle proprie emozioni a volte intrise di gioia ed altre di dolore. L’arte diviene espressione tecnica fondamentale affinché la rappresentazione mentale possa ottenere la propria espressione fisica. L’aspetto comportamentale di questa mostra induce l’osservatore a prendere atto del proprio grado di concentrazione per sondare le sfere incognite del proprio comportamento. La giusta valenza di questo atto comune ha come obiettivo primario quello di ricondurre alle proprie credenze, alle singole motivazioni, ai costrutti delle motivazioni soggettive. Per una via o per l’altra esisteranno punti di contatto o di aggancio che indurranno l’artista nel fissare sul supporto, l’osservatore nel recepire da quel supporto e l’opera stessa intesa come emozione congelata o, come dicevamo sopra alla concretizzazione di una manifestazione platica dell’immaginazione creativa che si attua nel divenire comportamentale. Parliamo di un comportamentalismo indotto di maestri che aprono i loro canali espressivi ad un pubblico maturo.

“ Questo Dio è poeta così valente da render tutti poeti; e certo diventa poeta, pur se prima era senz'arte, chiunque sia toccato da Amore”.

Platone

dal libro Simposio di Platone


Continua il percorso analitico di Rinascenza Contemporaneo basato sulle concezioni psico-creative delineate dal ciclo inumanistico. Secondo queste prerogative l’aspetto cosciente che organizzava i flussi razionali dell’Ego della prima parte di queste esposizioni è calato ulteriormente in profondità sino a conflagrare nei meandri della psiche umana in cui gli aspetti del Super – Ego dettano legge alla logica sino a generare visioni contrastanti di cui l’aspetto onirico gioca un ruolo preponderante. Secondo queste modalità è sorta la seguente mostra intitolata IPERURANIO. Il regno Creativo delle Idee, interamente dedicata all’artista perugina Katia Anastasi.

Partiamo dai concetti ideali per giungere a quelli concreti attuati dall’artista. L’Iperuranio, come è noto,  deriva da un concetto platonico concepito nel Fedro. Secondo Platone questo Iperuranio rappresentava una zona oltre il Cielo in cui esistevano le Idee pure, immutabili e perfette che possono essere raggiunte solo dall’intelletto. Appartiene ad una visione spirituale di stampo metafisica in cui il Bene rappresentava la summa di tutta la perfezione sino a discendere al mondo sensibile a quelle più logico-matematiche. Secondo Platone l’Anima prima di discendere nel corpo umano contemplava proprio le idee nell’Iperuranio. Dunque la ricerca della Verità è una REMINISCENZA, ovvero un ricordare o riconoscere la verità primigenia contenuta in tutte le cose dotate di idea ancor prima che di materia effimera.

Dunque Idee pure che si concretizzano in formulazioni oggettive da cui prendono corpo i sentimenti quale manifestazione sublime di un’anima atavica, eterna ed assoluta.

Ed ecco che giungiamo alla nostra artista Caterina Anastasi. Sappiamo di lei che nata a Perugia ma che vive a Gubbio. Ha sempre nutrito vivo interesse per la pittura anche se ad un certo punto della sua esistenza ha dovuto trascurare l’arte. Attraverso la pittrice Matilde Orsini è tornata a dipingere riscoprendo il piacere della composizione e dell’emozione  realizzativa divenendo così Katia.

E Katia ha realizzato numerose mostre pensando all’anno 2011 per il Concorso Internazionale A.U.P.I. (Albo Ufficiale Poeti Pittori Italiani) 4°classificata. Poi ha partecipato al Concorso internazionale Artisti dal mondo, Cacciano di Fabriano. Nell’anno 2012 al Concorso Internazionale "Premio Targa d'oro Città di Gubbio". Ancora al Concorso internazionale 3°Biennale Medaglia d'Oro di Spa, Belgio. Internazionale Caprese Michelangelo, Arezzo. Poi alla Collettiva "Chouzi sur Cisse", Francia. E nell’anno 2013 al Concorso on-line Ad-Art 3°classificata premio galleristi. Diverse collettive dunque: Gubbio-Perugia-Imbersago (Lecco)-Napoli.

Un ampio curriculum artistico per un’autodidatta che è stata capace di mettersi in gioco sino a conseguire risultati eccezionali.

Per quanto riguarda la nostra mostra la dimensione idealizzata degli ultramondi platoniani diviene il punto di convergenza di tutte le esperienze precedenti che si connaturano in un percorso unico. Il senso visuale di idee che esistono prima delle cose tangibili è il punto focale della sua pittura. Parte infatti dal senso profondo di un’atmosfera, di una sensazione o di uno stato interiore per poi concretizzarsi in pittura.

Pensiamo ad opere come Africa (2011), in cui il senso arcaico della maschera tribale rinvia ad esperienze individuali trasposte direttamente in tecnica e colore. Ma lo stesso vale per Il Sacrificio (2014), in cui predomina il senso profondo della sua fede per mezzo della quale eternizza il momento di massimo dolore per Gesù quando spirò per noi sulla croce. In Madre Natura (2012), sintetizza il senso della vita nell’albero quale manifestazione simbolica di questo legame con l’esistenza in cui le radici che affondano nel terreno corrispondono ai rami che proiettano l’esistente verso il cielo.

In Sbandierando ci consente di assistere dal basso verso l’alto alla manifestazione degli sbandieratori attraverso la distorsione ottica ottenuta per mezzo del cambiamento del punto di vista che pone lo spettatore in una posizione originale, quasi come se si trovasse al di sotto di una scena definita. Questo è il punto di convergenza della sua pittura verso nuove atmosfere. Verso l’ignoto (2013), ne è la prova tangibile. La modella guarda nel vuoto mentre sulla tela posta sul cavalletto è raffigurata la sagoma del volatile che è in lei. Una rappresentazione nella rappresentazione in cui l’anima è la protagonista assoluta.

Così caliamo nei mondi dimensionali di certezze trascorse come ne I segni del tempo (2011) così come ne Una giornata di pioggia (2012), in cui il desiderio di immortalare dettagli essenziali ad atmosfere irripetibili fanno da sfondo ad emozioni del vissuto in cui solo il diretto coinvolgimento dello spettatore ad un divenire sequenziale può garantire l’esistenza stessa dell’opera.

Ecco allora il suo istinto sprofondare in Sensazioni (2011) in cui la connotazione onirica apre le sue gesta ad un’altra opera profonda come Il bacio (2013), in cui le forme tratte dal mondo reale sono oramai superate e le idee tornano al loro mondo di partenza identificandosi con l’aurea eterna della luce cosmica.

Ma il capolavoro indiscusso resta L’ombrello rosso (2011), in cui l’atmosfera felliniana di questo spazio vuoto, quasi uno spazio mentale, viene riempito dal colore rosso dell’ombrello disposto a terra, emblema assoluto di una protezione effimera da un mondo in costante movimento. L’arte congela la luce e questa finalmente prende vita.

Micromicon. Dentro la realtà nascosta, rappresenta una mostra importante nel percorso offerto da Rinascenza Contemporanea nel senso che attua un passo dovuto dalle esperienze razionali degli artisti precedenti ai mondi sommersi nelle profondità dell’inconscio.

Tutto ciò che costituisce il mondo ordinario viene messo in discussione da percorsi autonomi che danno ampio spazio ai sentimenti ed alle sensazioni personali intrise di esperienze differenti sia culturalmente che in termini esistenziali. E’ il caso delle sei artiste italiane che per tre mesi esporranno presso il nostro spazio espositivo mettendo in campo i propri lavori artistici.

Pia Devalle ad esempio, parte da una posizione razionalizzata secondo modalità compositive che frammentano lo spazio attraverso interventi metafisico-simbolici atti alla reinterpretazione della realtà. Ne Il corpo e l’anima ad esempio, parte solamente dall’involucro plastico sino a sconvolgerlo dal flusso di una luce ancestrale che lo scardina simultaneamente dall’oggettività sino a proiettarlo nel regno delle idee. Connotazioni strutturali sviluppate diversamente da Maria Carmen Salis. Nelle sue tempere la figura umana, animale o concreta costituisce solo un punto di congiunzione tra questo e quel mondo, tra la vita e la morte, tra la verità ed il sogno.  Propensa a consolidare le matrici formali in organismi a sé stanti congela i soggetti concreti in metamorfiche strutture oniriche in cui l’imitazione della realtà è solo un paradosso lontano.

Modalità ulteriori vengono offerte dai mondi sommersi di Cristina De Maria, che radicalizza il suo desiderio di portarci altrove servendosi dei fantastici universi sottomarini. Una sorta di spazio mentale riempito dalla totalità di uno spirito sublime che avvolge tutto in senso protettivo. Una sorta di liquido amniotico, di succo placentare che protegge, separa, custodisce da una realtà frastornante. L’acqua diviene il teatro per eccellenza per avviluppare la realtà ordinaria sino a trasformarla in qualcosa di più profondo.

L’incontro della realtà e della fantasia diviene terreno ideale per affrontare i mondi archetipici di Bruna Rapetti. Nei suoi acrilici il mondo esterno è ridotto a configurazioni geometriche che eternizzano il senso profondo delle atmosfere, dei sentimenti o di quei ricordi traslati dalla memoria. Le sue opere sono viaggi siderali determinati da stilizzazioni simboliche attorno alle quali si organizzano vortici astratti di energia che muove la propria direzionalità. Ogni elemento della vita viene convertito in forme primarie attorno alle quali si irradia la potenza cromatica mossa dal flusso centrale di quell’emozione decritta.

Questa è la chiave di lettura delle opere di Anna Cervellera. In opere come Grandangolo, la realtà di riferimento viene sfocata proprio dall’irruenza del colore, all’ombra dei ricordi  lontani, ai margini di una sensazione congelata. Nel suo divenire pittorico le forme danno spazio alla potenza del colore che ingloba il cosmo risucchiando il senso ultimo dei ricordi lontani. Tutto il suo mondo viene convertito in principi gestuali che ricalcano le vie di una logica che ha riadattato l’istinto. Finalmente libera dalle catene del tempo trae finalmente sfogo e carica esplosiva.

Questo principio è il terreno di Sabrina Ziani, estrapolatrice di sentimenti reali tradotti in flussi di espressione pittorica che mutano col trascorrere del tempo. Red, Black and white parte da queste modalità esecutive sviluppandole all’ennesima potenza. Il tratto istintivo prende via via forma sino a scaturire in formulazioni assimilabili al dato concreto. Sorge così un connubio sintetico tra la fantasia ed un lontano spiraglio di realtà. Gli equilibri logici decadono innanzi all’immanente potenza del colore.

Una mostra tutta al femminile che tenta di leggere creativamente in profondità ciò che si cela dietro il velo delle apparenze esteriori. Una mostra che traduce i dati oggettivi della realtà in funzioni astratte fissate nella memoria individuale dell’artista. Un percorso pittorico di energie diverse che rinviano simbolicamente alla ricerca degli archetipi.

Perché è di archetipi che si parla. Secondo Jung, gli archetipi esisterebbero prima ancora dell’esperienza individuale e si manifesterebbero sotto la formulazione dell’istinto. A sua volta rinvia l’istinto del soggetto ad una matrice remota, primitiva, geneticamente consolidata. Tratta in altre parole di quella manifestazione del soggetto come espressione di un inconscio collettivo dal quale desidera staccarsi per raggiungere il proprio ruolo di soggetto sociale ma verso il quale ricade programmaticamente. Stando a queste modalità di pensiero l’inconscio collettivo rappresenterebbe una sorta di contenitore psichico universale relazionabile a quella parte di inconscio umano comune a tutti gli esseri viventi geneticamente ereditata dallo scorrere inesorabile del tempo. Questi preconcetti istintivi verrebbero tradotti in forme ideali o meglio in simboli strutturali che influenzano le scelte sociali nel corso della propria crescita evolutiva. Nella sua definizione di inconscio collettivo partiva dal presupposto che fosse comune a tutti gli esseri umani e che da questo ogni individuo muovesse il proprio Sé con il profondo desiderio di auto-affermarsi servendosi proprio degli archetipi di cui abbiamo accennato.

Le opere archetipiche delle nostre sei pittrici mettono in campo queste presupposizioni seguendo modalità differenti ma con uno scopo comune: tornare istintivamente in quella terra di nessuno in cui gli insegnamenti di adattamento al mondo circostante divengono remoti flussi di un discorso comune al quale l’arte ha il compito di opporsi. L’Ego in disputa con le antiche leggi del Super-Io genera un desiderio inconscio di ribellione e l’arte diviene strumento ideale di questo contrasto. Le briglie dell’oggettività decadono e le idee pure finalmente vengono a galla.

 « Io ne ho viste cose che voi umani non potreste   immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. »

 (Rutger Hauer/Roy Batty) Blade Runner

 

 

Analizzate le costanti estetiche della dimensione cosciente della pittura psico-creativista è necessario soffermarci sulla matrice induttiva del comportamento umano, ovvero sulle basi formative di un modo di essere in quel determinato Ego ancor prima che la logica possa fare il proprio ingresso nella sfera cognitiva del soggetto pensante. In altre parole i surrogati comportamentali della coscienza partono da influssi educazionali che condizionano l’equilibrio emozionale dello stesso soggetto nel corso della sua esistenza entrando in conflitto con i dati diretti della propria esperienza. Queste direttive genereranno atti di rimozione costantemente messi sotto controllo dall’inconscio di cui il Super-Io ne è il depositario sostanziale. Qualunque atto, gesto od ipotesi di coerenza logica alla realtà dipendono da una profonda conseguenza di adattamento a quelle norme istaurate nella psiche del soggetto sin dai primi anni di esistenza da canoni assoluti determinati dai genitori. Questi canoni delineeranno un modo di essere indipendentemente dall’anima pura del soggetto ovvero dal sue essere involontario.

Premesse necessarie per definire quella via di mezzo tra il concreto mondo della realtà cosciente alla quale ogni individuo deve adattarsi costantemente servendosi della propria logica e quel mondo sommerso dettato dagli insegnamenti instaurati in lui sin da piccolo. Questo contrasto di fenomeni confluirà nei diversi gradi di adattamento o disadattamento alle situazioni in corso, sino a confluire nelle conseguenti scelte esistenziali.

Sembra di tornare alle concezioni archetipiche junghiane in cui i presupposti di bene e male, giusto e sbagliato, vero o falso non dipendano tanto dal fatto di essere realmente nel bene o nel male, nel giusto o nello sbagliato così come nella sfera del vero e del falso quanto invece nel riconoscere sulle fondamenta portanti di questi valori impressi nella mente del soggetto la sua successiva capacità di adattarli alla realtà di riferimento e trarne vantaggio nelle relative fasi di coerenza, ovvero di correlazione favorevole a queste premesse o di incoerenza per quanto riguarda le correlazioni sfavorevoli alle stesse. L’Es, ancora più in profondità ne decreterà la direzione assoluta senza vie di adeguamento od analogia indotta.

INTRAMUNDIS. Verso il Super-Ego pittorico preordina questo slancio di analisi pittorica nei meandri della psiche umana servendosi del dato compositivo offerto dall’arte per caratterizzare gli aspetti appena accennati. Per fare questo Rinascenza Contemporanea ha il piacere di esporre le opere pittoriche dell’artista campano Franco Catapane il quale mette in campo questo scontro tra i presupposti della logica e del mondo sommerso. Pensando ad opere come Sibilla, eternizza figurativamente il volto stilizzato di una donna colta nel momento funesto del suo grido eterno in cui rinvia all’atto del comando, alla verità superiore generata dall’alto alla quale nessuna forza può resistere. Stessa concezione in La Profezia in cui quel volto sintetizza il divenire di qualcosa di remoto quasi l’eco di un eterno ritorno placato dallo sguardo fisso del temibile arcano. Questi flussi direzionali mossi dalla forma preponderante tendono a contrarsi in corpose volumetrie gerarchizzate da un linguaggio animistico intriso di simboli in cui la figura umana si scompone metafisicamente sino a robotizzarsi e perdere la propria coerenza con il mondo di riferimento dalla quale era partita.

Introspezione ad esempio, fissa una divinità distesa orizzontalmente sino a restituircela scomposta come realmente è nelle sue fondamenta spirituali. Una spiritualità meccanizzata.

Simbiosi ne rappresenta l’esempio lampante: la fusione fisica di due creature scisse in un corpo solo al limite dell’ibridazione tecno-biologica implode sino a generare una forza nuova dalla quale altre divinità potrebbero originarsi biologicamente. Giochi Proibiti descrive questo viaggio sino a penetrare ulteriormente in profondità. Qui la forma si dissolve ed il colore ingloba tutto geometrizzando gli stati, gli slanci o le propensioni sconvolte da una forza più grande.

Potremmo accennare ad esempi di questa portata per giungere a risultati affini eppure l’originalità del nostro Catapane non ha dirette analogie. L’aspetto lontanamente onirico delle sue opere rinvia sicuramente ad una dimensione cyber-goticheggiante in cui il sapore surreale entra in profondità aprendo nuove vie. Gli inferni gigeriani sono forse soltanto un punto di congiunzione tra la metafisica robotizzata dal sapore Pop ed un simbolismo archetipico in cui l’uomo, la vecchia creatura millenaria va via via disperdendo i propri caratteri originari ed assumendo nuove risultanti. Una via di mezzo tra animale e macchina, tra sacro e profano, tra bello e brutto esattamente come i poli comportamentali di cui accennavamo prima. I flussi di una logica cosciente in contrasto ai dettami di una logica precostituita nel soggetto pensante.

Dal contrasto degli archetipi con la realtà sorgeranno dei mostri spaventosi che si innalzeranno sulla terra e si diffonderanno rapidamente tentando di estendersi senza sosta. La via di uscita sarà la forza del proprio Es. Da qui tutto prenderà forma, sensazione e vita.

L’esperienza pittorica della fiorentina Rita Rinaldelli, descrive perfettamente il punto di transizione tra la visione conscia dell’arte inumanista e quella inconscia, ovvero quella forma mentis dettata da connotazioni archetipiche che influiscono sulla lettura definitiva della realtà di riferimento. L’opera d’arte diviene strumento di indagine critica per sondare queste variabili d’un linguaggio personale scaturito dalla ricerca e dall’amore dell’arte. La mostra personale Human. Tra conscio ed inconscio infatti, ha per oggetto questo passaggio essenziale, radicalizzando gli stereotipi d’una oggettività congelata filtrandoli attraverso un procedimento assolutamente soggettivo.

Come abbiamo avuto modo di approfondire nella mostra precedente, il Super – Io è quell’istanza psichica che comprende funzioni morali ereditate dalla sfera cognitiva nell’età dell’apprendimento infantile in cui vengono definiti i canoni di approvazione e disapprovazione, di auto-osservazione critica, così come di autopunizione o di quella sottesa esigenza di riparazione. Una sorta di conflitto interiore scaturito da una coscienza morale forgiata dall’educazione genitoriale.

Da qui scattano segnali di equilibrio che secondo Freud funzionano secondo la legge del taglione: la punizione per un malfatto consiste nel far soffrire a colui che l’ha compiuto, la stessa ingiustizia che ha inflitto: la famosa legge dell’occhio per occhio.

Nel bambino scatta una sorta di aggressione diretta come risposta ad un’aggressione subìta: ad uno spintone si reagisce con uno spintone, ad uno schiaffo un altro schiaffo. Una replica dell’azione come sistema di equilibrio mentre la determinazione del pensiero viene definita così da Piaget:”… La realtà fisica può benissimo a questo stadio restare penetrata da intenzione, da psichismo, ecc., così come il fanciullo può benissimo ignorare ancora il proprio pensiero o concepirlo come una voce” .

Siamo in presenza di atteggiamenti delineati non solo dalla replica di azioni subìte ma in presenza di ragionamenti superficiali ovvero scaturiti dall’immediatezza dell’evidenza come ad esempio la giustificazione del reale per mezzo dei colori o dal suono delle parole.

A questo punto avviene un’idealizzazione dell’io, una forma di narcisismo che induce all’identificazione con i genitori o con personaggi idealizzati per il raggiungimento della perfezione. Secondo Freud, il senso di inferiorità deriva proprio dal confronto – scontro tra l’Io e l’ideale dell’Io: l’Io tende a conformarsi all’ideale dell’Io ma non riesce mai a raggiungerlo.

Una lotta costante, ferrea, univoca che dal bambino all’adulto scoordina l’equilibrio apparente che condiziona le nostre fantasie, credenze, desideri od azioni apparentemente comprensibili se decodificate secondo paradigmi di tale pensiero. Queste premesse teoriche sottolineano il lavoro della professoressa Rita Rinaldelli.

Nata a Firenze il 7 marzo 1954 e diplomata presso il Liceo Artistico di Firenze ha conseguito il Diploma presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze e conseguentemente il Diploma di Disegno Anatomico Chirurgico presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Ha insegnato a Firenze da molti anni presso il Liceo Artistico, prima come assistente di Anatomia artistica, poi come docente di Scultura. Ha affrontato l’illustrazione scientifica, ha collaborato per illustrazioni di copertine per libri di poesia/racconti. Ha lavorato la terracotta, ha operato su pareti con valida esperienza di trompe-l’oeil, partecipando a mostre collettive e personali.

I suoi contenitori formali richiamano il concetto di oggettività attraverso il quale l’attenzione di un tratto, la profondità di uno sguardo, l’intensità di un segno e la delicatezza di una linea sfumata, mettono in discussione l’equilibrio delle parti riconducendo l’osservatore alle sfere più intime dell’artista fiorentina.

Una sorta di viaggio nel tempo attraverso lo spazio. In altre parole l’oggettività scientifica della rappresentazione formale scaturisce dall’esperienza tecnica raggiunta dall’artista nel corso della sua carriera professionale ma in essa custodisce elementi involontari dettati da una lotta interiore che vengono puntualmente in superficie.

Uno scontro tra la luce e le tenebre, tra i pieni ed i vuoti, tra la riconoscibilità oggettiva delle pose e l’espressione emotiva del soggetto che fuoriesce dal contesto di riferimento, rapportandosi all’esperienza individuale dell’artista. Pensiamo al volto dell’Indiana ed alla compostezza formale, all’equilibrio plastico che fanno da sfondo ad uno sguardo assente, lontano, imbrigliato da ricordi di un tempo che non tornerà più. Pensiamo al Ritratto di Lucia, assorto nel riposo tranquillo di un mondo lontano avvolto dai sogni così come all’azione manifesta della Ragazza Cinese, in cui il leonardesco sorriso cela un mondo nascosto, difficilmente ravvisabile direttamente.

L’eleganza dei bambini, la profondità delle copie d’autore sino agli studi anatomici definiscono questo universo costellato da assidua ricerca, amore per la bellezza, anatomia di un’istante assoluto ma, come abbiamo delineato precedentemente, fuoriescono dall’immediatezza della lettura diretta affondando nel marasma caotico delle emozioni in cui la soggettività sembra prendere il sopravvento.

La lotta cosciente tra l’Io ed il Sé era stata determinata dalla contrapposizione tra il colore e la forma e dalla risultante concettuale prendevano il sopravvento i riferimenti razionali. Ora invece il colore viene tralasciato. Quasi come se l’io soggettivo fosse assoggettato alla prevedibilità di un Sé formale assoluto, dominante, ancestrale. Eppure viene smosso dalle fondamenta e dalla ratio assoluta vengono messe in campo risultanti più intime. E’ proprio nella forma e dalla forma, smossa dai suoi apparenti equilibri plastici che originano i conflitti di un Io idealizzato che ricerca nella creazione divina i propri misteri e le conseguenti mutevolezze temporali.

Gli sguardi dei soggetti sono sfuggenti per quanto fissati in una dimensione ideale che muta con lo scorrere del tempo. La conseguenza onirica di tale ricerca induce l’osservatore a riempire i vuoti apparentemente ottenuti dalla materia dominante e la lotta per l’idealità dell’Io resta ancorata al miraggio d’una perfezione che non sarà mai raggiunta, almeno in questa vita. 


                               NEURON ART

                        Le vie della dissoluzione

                     10 aprile 2015 - 10 giugno 2015

Il punto di transizione tra l’aspetto cosciente e quello subcosciente della psiche umana in chiave artistica, viene affrontato da questa mostra intitolata NEURON Art. Le vie della dissoluzione, in cui artisti di diversa provenienza geografica e culturale adempiono alla descrizione dei propri stati interiori indipendentemente dalle matrici intellettuali di riferimento. Un processo psicocreativo finalizzato a scavare in profondità sino a riportare in superficie elementi individuali altrimenti rimossi dal tempo storico in cui si trovano ad operare. Come abbiamo avuto modo di constatare nelle altre mostre di questa sezione l’Ego è stato affrontato in tutte le sue formule oggettive contrapponendo i dati diretti ed indiretti dell’Io/colore e del Sé/forma delineando radici sempre più intime che trovavano nel Super-Io la componente essenziale di riferimento.

Freudianamente identifica una delle tre istanze intrapsichiche che compongono il modello strutturale dell’apparato psichico corrispondente all’interiorizzazione dei codici archetipici di comportamento. In altre parole siamo nella sfera dei binomi cerebrali: bene/male, giusto/sbagliato, gradevole/sgradevole che operano come catalizzatori dell’anima soggettiva che sviluppano divieti e comandi quasi un ideale agente verso il quale aspira il soggetto pensante. Da questo censore autonomo l’Io cosciente viene costantemente modificato quasi come se il Super-io agisse da bagaglio culturale innato, assorbito gradualmente attraverso l’educazione pedagogica. La risultante è che limita i desideri e le pulsioni generando conseguentemente uno stato di oppressione e di negazione di appagamento. Una sorta di ideale dell’Io che condiziona i comportamenti del soggetto sino a controllarlo. Pensiamo ad esempio all’impossibilità di compiere una data azione per sentimenti che ne scaturiscono come la vergogna, l’angoscia od il senso di colpa. Una coscienza attiva che Freud dilata a comportamenti di massa in una data epoca storica in cui il Super-Io condiziona i conflitti sociali della civiltà e la conseguente infelicità dei singoli individui pensanti. Il Super-Io è la zona preconscienziale che relaziona i dati esteriori a quelli interiori, dalle sfere egotiche e razionali a quelle intime e subcoscenziali.

Queste le premesse che introducono il lavoro dei nostri maestri. Claudio Cantini parte dalla razionalità oggettiva di opere pittoriche che evocano il senso puro della realtà descritta con dovizia. La potenza del mare, la quiete del paesaggio campestre così come l’equilibrio formale delle nature morte affondano le radici nella riconoscibilità di parametri archetipici in cui torna in superficie la preponderante forza dell’Io.

La ratio è ancora la struttura di partenza congelata da Pietro Malavolta, decano d’un simbolismo metafisico in cui la lezione dell’astrazione post-cubista novecentesca deforma la realtà al limite d’un arcaismo stilizzato. Ancora la forma gioca il suo ruolo dominante mentre il colore è semplicemente la risultante della luce, dei vuoti e del senso scultoreo in cui la plasticità contrasta gli spazi e la materia prevarica sullo spirito.

Fabio Spagnesi, radicalizza i vettori plastici precedentemente descritti materializzandoli in superfici scultoree in cui entrano in contrasto gli archetipi. La lotta del bene e del male, del giusto e dello sbagliato, del piacevole e dello spiacevole rappresentano il conflitto interiore e la ribellione dell’anima verso i preordine naturale. La materia, in altri termini, smette improvvisamente di essere tale e mostra finalmente l’aspetto mistico, trascendentale, nirvanico.

Rosario Aufiero invece, scoordina gli equilibri plastici attraverso la potenza del colore e le matrici precoscienziali vengono via via assorbite dalle direttici spazio – temporali. Anche qui, possiamo parlare di simbolismo ma in senso subocosciente, atto cioè alla resistenza individuale che catalizza la realtà di partenza a vettore analitico delle proprie paure, frustrazioni, angosce. Le resistenze vengono gradualmente superate e lo spirito finalmente tende a dilatarsi nello spazio.

Francesca Facchini infine, sboccia pura dalla delicatezza del colore che ricorda sporadicamente forme precostituite sino a generare spazi vuoti o svuotati delle resistenze egotiche. Gli elementi d’una tradizione precedente vengono destituiti  e gli slanci d’un pensiero libero, schietto, arcaico rappresentano la liberazione dalle costrizioni sociali, culturali e di un’oggettività castrante.

Da qui, possiamo citare i concetti filosofici dell’ evoluzionista Herbert Spencer ne i Primi Pricipii (1862) scriveva: “…ogni massa, da un granello di sabbia a un pianeta, irradia calore verso altre masse, e assorbe il calore irradiato da altre masse; e in quanto compie il primo processo essa s’integra, mentre in quanto compie il secondo si disintegra. Negli oggetti inorganici questo doppio processo opera ordinariamente effetti non apprezzabili. [...]. Negli aggregati viventi, o specialmente negli animali, questi processi in conflitto tra loro si compiono con grande attività sotto parecchie forme. Non c’è semplicemente ciò che possiamo chiamare la integrazione passiva della materia, che risulta nelle masse inanimate da semplici attrazioni molecolari; ma c’è una integrazione attiva della materia sotto la forma di nutrimento. Oltre a quella disintegrazione superficiale passiva che gli oggetti inanimati subiscono per opera degli agenti esterni, gli animali producono in sé stessi una disintegrazione interna attiva, assorbendo tali agenti. Mentre, al pari degli aggregati inorganici, essi irradiano e ricevono passivamente moto, assorbono pure attivamente il moto latente contenuto negli alimenti, e attivamente lo spendono. Ma nonostante questa complicazione dei due processi e l’immenso vigore del loro conflitto, rimane vero che c’è sempre un progresso differenziale verso l’integrazione o verso la disintegrazione. Durante la prima parte del ciclo dei cambiamenti, predomina la integrazione – à luogo ciò che noi chiamiamo sviluppo. La parte media del ciclo è per solito caratterizzata non dall’equilibrio tra i processi d’integrazione e di disintegrazione, ma dall’alterno preponderare di essi. E il ciclo si chiude con un periodo in cui la disintegrazione, cominciando a predominare, alla fine pone termine all’integrazione, e dopo la morte disfa ciò che l’integrazione aveva originariamente fatto. [...]. I processi che cosí sono ovunque in lotta, e ovunque acquistano ora un predominio temporaneo, ora un predominio durevole l’uno sull’altro, noi li chiamiamo Evoluzione e Dissoluzione”.

Fenomeni che comportano la trasformazione di un’entità precostituita dall’universale al particolare, dal tessuto sociale alla struttura dell’Io.

 

 


                   LAPSUS MENTIS. Il desiderio nascosto

                      Personale di Vanessa Mazzali

                     13 marzo 2015 - 13 aprile 2015

Rinascenza Contemporanea propone una nuova mostra monotematica intitolata Lapsus Mentis. Il desiderio nascosto in cui espone l’artista modenese Vanessa Mazzali. Sin da piccola è stata attratta dal mondo dell’Arte fino a quando, nel 2011 ha intrapreso un corso di pittura e da lì ha partecipato a diverse mostre nazionali ed internazionali pensando a Modena, Udine, Torino e Londra. Ancora una volta vengono affrontati i caratteri della Teoria Sinaptica Essenziale secondo i quali l’elemento post-virtualista dell’Inumanismo trova sfogo nella rappresentazione pittorica psico-creativista. Tutto ciò che rappresentava virtualisticamente la realtà esteriore dell’uomo, ora l’Inumanismo li affronta direttamente in prima persona. La sfera cosciente dell’ego è stata analizzata nelle mostre precedenti sino a defluire nelle remote regioni dell’inconscio. Una lotta impari tra la razionalità ed i preconcetti del Super-Io quale vettore che controlla gli impulsi del nostro equilibrio psichico. In altre parole i dati fin qui raggiunti dalla sfera cosciente vengono radicalizzati sino a quelle zone d’ombra o transizionali che mettono in relazione l’aspetto razionale a quello subcosciente. Tutto ciò oltre la nostra volontà logica. Il concetto di lapsus, può essere inteso come forma di errore non intenzionale, quando ad un atteggiamento volontario non corrisponde una sua realizzazione fisica. Dunque delinea un desiderio inconscio che viene in superficie mediante segnali improvvisi come errori linguistici, dimenticanze o vuoti momentanei di memoria che indicano pensieri che vengono a galla altrimenti rimossi dalla censura individuale. Analiticamente può essere paragonato ad una sorta di atto mancato, ovvero ad una Paraprassia od atto sintomatico nel senso che corrisponde ad un errore di azione secondo il quale si vorrebbe fare una certa azione ma ne seguita una differente al di fuori della nostra portata. Secondo Freud, ad esempio  questi atti mancati erano letti come conseguenza di un desiderio nascosto che veniva improvvisamente in superficie. Secondo queste premesse gli atti mancati nasconderebbero un conflitto nevrotico tra la volontà di compiere una certa azione ed il non attuarla: l’impedimento od il senso di castrazione derivato da questa incapacità consentirebbe all’inconscio di liberare comunque l’energia accumulata per l’azione soppressa in forma passiva. Da qui nascerebbe un atto mancato e di conseguenza un lapsus. Il tutto viene smosso dal punto di relazione tra l’Io e l’Es, ovvero dal Super-Io che agisce come moralizzatore intrinseco. Da qui originano i codici di comportamento ovvero i divieti, le ingiunzioni e gli archetipi junghiani come il bene ed il male, il giusto e lo sbagliato, il gradevole e lo sgradevole istaurati nel soggetto dall’educazione primordiale esercitata dai genitori. In altre parole il Super-Io è l’ideale che il soggetto desidera raggiungere e che giudica tutto ciò che si muove al di fuori della propria portata. Comporta un costante modellamento dell’Io reagendo ad elementi non immediatamente riconoscibili dalla propria coerenza/coscienza. Affermazioni che rinviano direttamente al conflitto interiore, alla lotta che qualsiasi tipologia di equilibrio psichico deve sopportare e superare per giungere ad un nuovo livello di adattamento. Questa lotta emerge dalle opere di Vanessa Mazzali. L’immobilità dei soggetti, la delicatezza dei colori così come l’equilibrio plastico indurrebbero subito a pensare che il senso della posa fosse indice di letizia esecutiva nel modo in cui viene a fissarsi sul supporto. Questo avviene sicuramente ma solo superficialmente. L’equilibrio esteriore delle sue opere decanta una compostezza formale del Sè scatenando successivamente un’esplosione cromatica in cui l’Io viene scardinato nelle sue fondamenta determinando così uno spiazzamento ulteriore dello spettatore.

Ne La morte della cultura,  parte dall’oggettività formale di libri bombardati da schizzi cromatici di colore/sangue. L’action painting assume valori concettuali nel senso critico dell’intellettuale moderno che osserva/interiorizza/trasforma. Processo che attua in maniera diversa nel ciclo dei Fragments in cui il segno pittorico descrive la rottura di un percorso cromatico, di un equilibrio razionale in cui la rottura determina una sofferenza. Astrazioni al limite di un simbolismo espressionista ravvisabile nelle Danzanti così come nell’opera intitolata Risorgere, al limite tra la figurazione e la sfera onirica. Questo andare e tornare tra la realtà fantastica e l’astrazione concreta ritorna nella mano tesa di Aiuto in cui il simbolo del mondo reale si innalza verso il vuoto, speculare, appunto, all’astrazione figurativa raggiunta precedentemente da Risorgere.

Anche La Solitaria descrive questo voler richiudersi in sé stessa ma nello stesso tempo al desiderio recondito di venire a galla. Ragioni che la inducono ad affondare nei particolari anatomici come nel ciclo degli Attimi in cui primissimi piani del corpo umano descrivono il corpo/spazio mosso però dalla convergenza dei ricordi/tempo e l’umanizzazione si s-personifica sino a defluire in luoghi ignoti in cui solo la ratio può consentire di tornare indietro. Ragioni che la inducono all’evocazione simbolica dei fiori od all’olio su tela intitolato Abbandono, in cui l’anonima figura di donna si perde nelle tenebre verso l’orizzonte mentre in primo piano troneggia lo scheletro del passato verso il quale noi tutti siamo risucchiati. Nelle lande dell’inconscio si rischia di restare per sempre imbrigliati e per quanti sforzi l’uomo di buona volontà possa fare per conoscere sé stesso, tutto sembra vano.

Una lotta interiore, come dicevamo, che chiunque è tenuto ad affrontare nel corso evolutivo della propria esistenza emotiva. Il passaggio superficiale dalle zone consce a quelle profonde inconsce è dettato da un desiderio di tornare alle origini, sradicando la logica in codici più alti che anticamente erano paragonati alla sede dell’anima. Se, come abbiamo precedentemente affermato, le regioni logiche dell’Io vengono continuamente messe in discussione da un Super-Io che costituisce il rappresentante più alto dei valori etici e morali a cui ognuno aspira è facile dedurre la lotta che questo squilibrio costituisce. La realtà muta i sogni. Questo è il fulcro dell’arte di Vanessa Mazzali: il senso trasfigurativo di convertire la realtà oggettiva in simbolismi espressivi in cui consente ai desideri inconsci di accedere alla coscienza.

                       

                       UTOPIA. Il Mondo Interiore

                   Personale di Katarzyna Maria Laciak

                    18 febbraio 2015 - 8 marzo 2015


Quando parliamo di utopia nel linguaggio giornaliero ci rapportiamo ad un mondo immaginario, fuori dal comune. Nel gruppo di mostre dedicate da Rinascenza Contemporanea alla sfera dell’Ego cosciente, entriamo in una mostra personale intitolata Utopia. Il mondo interiore. Protagonista assoluta l’artista polacca Katarzyna Maria Laciak. Dopo aver conseguito gli studi nel suo paese di origine è venuta in Italia dove tuttora vive con la sua famiglia. Sappiamo di lei che ha svolto numerose mostre collettive nel nostro Paese grazie alle quali ha messo in evidenza il suo innato talento artistico. Ed Utopia è una mostra personale che la celebra ad artista d’eccellenza per le sue capacità compositive del tutto particolari. Il titolo della mostra infatti, è stato preso in prestito dalla celebre opera di Tommaso Moro Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia. Pubblicato nel 1516, descrive il viaggio immaginario di Raffaele Itlodeo in un’isola chiamata Utopia in cui vive una società ideale seguendo le concezioni della perfezione rinascimentale. Il valore di quella società conseguiva un ideale di perfezione assoluta rapportata al singolo individuo. L’uomo rinascimentale appunto, moderno, civilizzato, umanizzato. Dunque, il centro motore di un universo messo a disposizione da Dio all’uomo, macchina perfetta dotata di anima. Dopo più di cinquecento anni quel mondo è decaduto. L’evoluzione tecnologica ha portato l’uomo ad essere ovunque su un pianeta chiuso in sé stesso oltre il quale i moti gravitazionali portano l’universo alla sua distruzione totale. Nessuna speranza per la vita. Anzi, parliamo di una vita che considera la morte parte integrante dell’esistenza stessa, un’esistenza concepita dalle rigide leggi fisiche di una materia effimera. L’uomo è al margine del cosmo. E’ parte di un Ente mastodontico che non lo considera affatto. Premesse interessanti che si amalgamano alle interpretazioni soggettive delle opere messe in campo dalla pittrice polacca. Da Bacio spaziale ad Occhi dicono tutto, da Bellezza di donna a Sguardo prigioniero, siamo in presenza di visioni individuali, figlie del Novecento surreale, metafisico con ascendenze pop. La figura umana diviene il contenitore ideale dei colori puri, quale vettore relazionale ad un mondo esteriore che imprigiona la coscienza. L’Ego è imbrigliato alla speranza in un lotta tra l’Io ed un Sé più grandi. L’attitudine compositiva della Laciak consiste proprio nel definire questi confini e di abbatterli mediante la pittura. Descrivendo il Sé sprofonda nell’Io e nelle viscere della sua fantasia ricalca mondi ideali in cui la leggerezza di un’atmosfera, il calore di uno sguardo o la delicatezza di un profumo divengono universi paralleli ad una realtà ossessionata dalla corsa al potere in cui guerre e multinazionali comprano tutto rendendo le nazioni schiave d’una matrice globalizzata precostituita. La Laciak parte da qui. Il mondo concreto sublima sino a dissolversi nella sua fantasia creativa. L’Utopia d’un mondo interiore incontaminato in cui sogno e realtà convivono tra loro. Nell’Utopia di Tommaso Moro, il protagonista percorre un mondo perfetto. Nell’Utopia della Laciak, l’artista percorre un universo imperfetto al quale apporta il suo spirito e lo purifica. Nelle dinamiche dell’Ego la macro-struttura di riferimento (la forma) è dettata secondo le concezioni realistiche. Una realtà trasmessa da contenitori plastici in cui si amalgamano matrici micro-strutturali (il colore). Mentre la prima formulazione circoscrive l’area del Sé, ovvero quella parte esteriore che con esso e da esso prende le mosse, la seconda formulazione decanta l’Io, parte più piccola, sede della coscienza e della coerenza soggettiva. Ma è per questa coerenza ed in contrapposizione alle variabili di adattamento che sorgono le patologie o le nevrosi di riferimento. L’Ego combatte perennemente per mantenersi stabile pur se il tempo scorre inesorabile e varia l’adeguamento razionale allo scorrere delle situazioni. In questa macchina imperfetta l’anelito all’utopica perfezione, scardina i presupposti stessi attuati dalla logica e li reinserisce nel coefficiente di adattamento. Nelle opere della Laciak come Anima marina o Riflessione, oppure in Sentimento al tramonto o nell’Attesa, assistiamo a questa dilatazione della figura umana all’ambiente circostante, sino ad assorbirlo strutturalmente. La metafisicizzazione teatralizzata delle figure rievocano archetipi inibitori, per mezzo dei quali la sfera del Sé trova agganci surreali con la realtà di riferimento per poi essere ridimensionata dall’ausilio cromatico, sede centralizzata di un Io marginale che sconvolge gli equilibri raggiunti precedentemente. Mediante queste procedure stilistiche la Laciak tira fuori dalla sua mente un’interpretazione soggettiva della realtà partendo direttamente dalla sfera individuale per rimuoverla sul supporto ed è qui che genera mondi arcaici, fuori dal comune, in cui il congelamento degli archetipi rinsalda il suo estro creativo. Il sogno ad occhi aperti solo ora può essere condiviso con gli altri. Il simbolismo archetipico immortala lo sguardo e lo libera in formulazione pittorica. 

Continua il percorso espositivo di Rinascenza Contemporanea fondato sulle concezioni della Teoria Sinaptica Essenziale attraverso mostre che rievocano il secondo ciclo filosofico dell’Arte attuale denominato Inumanismo. Attraverso questo settore di indagine attraversiamo l’aspetto creativo degli psico-creativisti, ovvero di coloro che non guardano fuori di sé, come avveniva per i neo-creativisti del Virtualesimo, ma dentro sé stessi. Dopo Synaptic ed Ecce Homo è la volta di ALTER EGO: L’Io attraverso l’Ego, in cui un gruppo di artisti contemporanei descrive le sfere superficiali di un Ego smisurato in cui l’Io è il protagonista assoluto della composizione, attraverso percorsi individuali che decantano i lati congeniti della personalità. Comunemente il termine Alter Ego viene utilizzato per definire una seconda personalità di uno stesso soggetto o per delineare personaggi letterari antitetici tra loro.

In questa sede la dimensione dell’Ego viene affrontata junghianamente scindendo l’essere senziente in due entità speculari: l’Io definito come particella razionale di un Sé che ne caratterizza l’aspetto molteplice. In altre parole mentre il Sé denota la persona in quanto tale e nella sua totalità rispetto all’ambiente di riferimento, l’Io è una micro-unità inscritta nel macro Sé ed equivale alla struttura che percepisce sé stessa e che entra in relazione con altre persone. Dunque l’Ego è strutturato su due entità speculari che interagiscono tra loro delineando in sintesi un Alter ego. In esso la razionalità introspettiva e quella relazionale determinano un conflitto, un’indecisione, un’incertezza di fondo basata su contraddizioni dettate dalla sfera conscia e logica. Premesse essenziali che gli artisti di questa sezione mettono in campo mediante il valore concettuale delle loro opere.

Pensiamo ai criteri di razionalizzazione pittorica offerti da Alberto Lanzaretti, decano d’un simbolismo plastico atto ad esaltare nello spazio le stratificazioni oggettive di pietre e strutture archetipiche che sviluppano nel tempo la sede della coscienza. La deflagrazione aurea del magnetismo plastico rievoca forme che trovano nel simbolo-archetipo la ragione stessa della loro esistenza soggettiva.

Anche Ernesto Volpi, indaga l’equilibrio formale mediante formulazioni geometriche organiche dettate dall’impulso cromatico che deturpa la matrice raggiunta sino a scoordinarla in potenza. Nel suo caso l’io cromatico si oppone al Sé formale e la variante plastica soccombe all’apparenza direzionale.

Diverso è l’approccio di Tina Copani, che affronta mediante l’equilibrio formale stati d’animo interiori determinati dal contrasto cromatico attuato in moti dinamici in cui l’io cerca una possibile via di fuga ma resta perennemente imbrigliato alle strutture di riferimento. Il raggiungimento di plausibili equilibri viene costantemente messo in discussione da un Sé smisuratamente critico.

Roberta Piovan, dal canto suo, smaterializza la forma mediante il sapiente uso del colore. Il macro Sé viene così scosso dalle fondamenta da un Io coloristico acceso che smuove una ribellione interiore finalizzata all’auto-dissacrazione. Ma è dal colore che tutto parte: nuovi equilibri, nuovi slanci che espressionisticamente raggiungono la natura circostante.

Da questo momento in poi, il Sé, sembra tornare in superficie con il suo apparato esteriorizzante.

Pensiamo alle opere di Gianfranco Taschini, in cui il riferimento notturno a binari ferroviari che si intersecano in percorsi anonimi di una realtà in espansione. L’io ne paga lo scotto perché ridotto a spettatore forzato. La realtà predomina indisturbata sottoponendo l’Ego alla forza maggiore di un destino incombente. Un mondo di riferimento prestabilito, preconfezionato, che non risparmia nessuno.

Connotazioni che ci portano ad Ivan Pili. Le sue maschere, i suoi volti umani, sono persone anonime che prendono corpo nei pensieri degli spettatori. Persone, come oggetti, fantocci d’una realtà indefinita. L’io è annullato o ridimensionato ad uno sguardo assente mentre il Sé è dilatato a contenitore formale preponderante che coordina le direttive del creato.

Mario Russo, infine decanta la ricerca dell’anima in opere che scrutano le forme ed i colori nella stessa misura ricettiva. L’Io ed il Sé si amalgamano reciprocamente nella rievocazione soggettiva del contemplatore attento, assorto nei ricordi messi in campo da idee assolute, condivise ed universali. Il punto di convergenza guida l’osservatore ad una catarsi finale per mezzo della quale la teatralizzazione del mondo viene sradicata nelle sue fondamenta consentendo allo spirito di trovare piena espressione fisica.

Questi maestri ricercano pittoricamente i paradossi di un Ego manipolato ed ipnotizzato dalle formulazioni massmediali e culturali di questo tempo, riportando in superficie elementi altrimenti codificati. Il valore che accomuna le diverse entità espresse è la coscienza ovvero la facoltà di esprimere i differenti gradi di soggettività, di consapevolezza e di conoscenza mediante la capacità di individuare il rapporto tra l’Ego e l’ambiente di riferimento. Una sorta di incubatore di immagini che rinviano ad un mondo esteriore interiorizzato dai sensi e dalle emozioni involontarie. L’Alter Ego pittorico ci offre il conflitto mentale insito nei meandri della logica in cui un Io più piccolo vuole fuoriuscire dal suo nucleo e combatte contro un Sé più grande che lo riduce a particella indiretta, quale barriera verso il mondo esteriore. Da questo conflitto origina l’immaginazione. Da questo conflitto nasce l’interpretazione del mondo. Da questo splendido conflitto origina l’Arte.

Dopo gli sviluppi dell’Inumanismo e di Synaptic, Rinascenza Contemporanea affronta una mostra personale intitolata Ecce Homo. Essere ciò che si è, in cui il protagonista assoluto è l’artista attuale Antonio Lippi, decano indiscusso di questo percorso personale che ha come obiettivo assoluto la descrizione dell’universo interiore oltre qualsiasi contaminazione esterna.

Ecce Homo da una parte ricorda la frase pronunziata da Ponzio Pilato ai giudei nel momento in cui mostrava loro il corpo martoriato di Gesù, immagine sublime del dio-uomo, privato di tutti i beni materiali e messo a nudo innanzi ai peccatori, convinti del loro assoluto potere terreno.

Dall’altra rinvia all’opera di Nietzsche in cui contrapponeva il puro spirito dionisiaco dalle controversie del nichilismo assoluto poiché era proprio nel cristianesimo che vedeva negati i valori dell’oltreuomo.  La dimensione superomistica era caratterizzata dal desiderio di elevare il proprio Ego oltre le cose materiali anche se attraverso esse giungeva alla propria elevazione.

Queste le premesse ideali. Da un punto di vista psicoanalitico l’Ego costituisce l’aspetto conscio in cui i dati superficiali e razionali dell’essere senziente determinano la personalità del soggetto secondo valori di coerenza intellettiva. Costituisce la struttura psichica di base su cui si instaura un rapporto con il mondo esterno, dunque con la realtà di riferimento. Dati che rinviano ad un livello interiore di consapevolezza.

Sappiamo che freudianamente l’Io equivale alla gestione dei rapporti di difesa nei processi di protezione rispetto alle esperienze pulsionali determinate da altre istanze in conflitto tra loro come l’Es ed il Super Io che avremo modo di verificare successivamente nel percorso pittorico inumanista. Elementi che portarono Jung a distinguere l’Io, quale piccola parte di un Ego retto invece dal Sé, ovvero dalla totalità di un Ego smisurato di cui l’Io occupa solo una porzione cosciente. Dunque l’Io è inscritto nel Sé e definisce la struttura di base che percepisce sé stessa in contrapposizione al mondo esterno. Del resto è proprio nel sistema junghiano che l’Io viene ridimensionato nel suo valore intendendolo come parte di un Sé dinamico-relazionale più esteso.

Dunque siamo nell’ambito puro della coscienza in cui realtà esteriore e realtà interiore si compenetrano fisicamente.

L’opera di Antonio Lippi, sembra calarsi direttamente nelle vie sottese dell’Ego nonostante le lotte interiori che avvengono tra la sfera preconscia ed inconscia. L’essere puro: l’Ego, colto nelle sue proprietà costitutive ancor prima di raggiungere la sfera dei sentimenti dettati dall’educazione familiare o dalle costanti culturali di una determinata epoca storica che incidono sulle propensioni esistenziali del soggetto. Siamo in presenza di un essere cosciente, razionale e coerente nei confronti del proprio equilibrio dettato dalla logica.

Qui l’ego viene affrontato secondo le proprie matrici inerziali, involontarie, innate. Siamo nella zona delle sensazioni in cui l’Ente viene concepito e geneticamente formato nel grembo materno in cui recepirà il senso dell’attivo e del passivo, del piacere e del dispiacere dell’interno e dell’esterno.

Dati che costituiscono la superpotenza di un ego smisurato, eterno, assoluto. I contenitori formali di Lippi indagano queste costruzioni pre-ideali scandite emotivamente dalla simbologia dei colori sino a conflagrare nell’istinto innato che non ha precedenti o giustificazioni logiche.

La costruzione spaziale viene decostruita seguendo una logica compositiva finalizzata a scandagliare lo spazio in frammenti cromatici ben ponderati. Connotazioni tecniche che portano Lippi a ridefinire uno spazio ideale, un luogo mentale in cui il tempo e lo spazio si integrano simbolicamente. Il Ciclo della Costanza dei mutamenti attua questo conto alla rovescia verso la vita tangibile esteriore così come il Ciclo del Paesaggio Interiore muove verso sé stessi sino a naufragare all’origine del tempo. L’Ego è decantato in tutto il suo manifestarsi.

Lippi inebria il supporto di macro-equilibri compositivi volti a tipizzare la propria immagine del Sé (strutture formali di riferimento) parcellizzando lo spazio in compartimenti definiti ed è su di essi che scandaglia l’Io (connotazioni cromatiche) in cui somatizza gli stati emotivi conseguenti. L’equilibrio conseguito genera risvolti dinamici in cui si delinea la lotta interiore. Ecco prendere largo l’attuazione di meccanismi di difesa come la Rimozione, basata sul fatto di allontanare elementi psichici considerati come inaccettabili, la Sublimazione intesa come spostamento di un impulso aggressivo verso altre mete, la Proiezione basata sullo spostamento di sentimenti su altre persone o cose sino alla Scissione che distingue qualità differenti nello stesso soggetto o della Formazione Reattiva a dinamiche non accettate e controllate razionalmente.

In Lippi questo divenire spazio-temporale è in perenne mutamento: le sue sono opere aperte, dinamiche, fluide predeterminate da una consapevolezza direzionale in cui la stabilità del Sé e la particella autodefinita dell’Io convivono tra loro come in un marasma razionalizzato che reagisce agli impulsi esterni. Non solo è in atto la carica evocativa dell’artista creatore, ma entrano in gioco i riferimenti spazio-temporali degli osservatori che delineeranno nell’atto contemplativo dell’opera equilibri soggettivi atti a conflagrare in nuovi spunti direzionali. In questo modo l’opera resterà perennemente in moto nei conflitti dei differenti Sé e nei raggiungimenti dei subitanei Io coinvolti.

Tutto è pronto per questo viaggio oltre la sfera di un Ego divinizzato che solo l’arte può finalmente mettere in campo.

 

La mostra personale dedicata all’artista Massimo Di Stefano costituisce un approfondimento monografico di quelle tematiche affrontate dalla corrente Post-Virtualista. Come abbiamo precedentemente dimostrato, l’Inumanismo rappresenta il salto evolutivo del Virtualesimo verso le zone incognite dello spirito umano. La perdita del senso comune attuata dal processo evolutivo della società tradizionale, passata dalla vita rurale ancorata ad una struttura gerarchico-feudale alle metropoli popolose, hanno favorito uno sviluppo tecnologico, industriale, scientifico. La virtualizzazione del contingente si è gradualmente propagata a tutte le sfere di adattamento esistenziale, consentendo all’individuo contemporaneo di sentirsi parte di una realtà globale, oltre i confini geografici immettendolo in cyber-geografie raggiunte mediante la rete informatica. La possibilità inter-comunicativa di essere ovunque e comunque inter-connettendolo a realtà immaginarie hanno annientato la comunicazione diretta tra gli individui capaci di inviare chat fulminee con entità remote manipolandone sempre più i gradi di riconoscimento attivo. La passività ha sterilizzato l’individuo congelandone gli slanci emotivi. Un senso ottimistico di ciò che i media trasmettono, rende il soggetto onnipotente, solo in potenza, promettendo sicurezze nefaste in cui i miracoli della genetica, della ricerca spaziale o delle scoperte mediche garantiscono un miglioramento costante del tenore di vita. Eppure le guerre ideologiche incombono su queste certezze. Dal crollo delle Torri Gemelle ad oggi siamo entrati in uno scenario preventivo atto a scatenare forze alleate verso ipotetici nemici mediatici, malattie devastanti o promesse di fantasmagorici viaggi galattici che non avranno, almeno per il momento, nessun compimento. L’Era Virtuale è in atto.

L’uomo virtuale non è un sognatore, rappresenta il frutto acerbo di falsi miti che crollano davanti ai suoi occhi impotenti.

L’Inumanismo parte da queste premesse. L’uomo, dunque l’artista è soggetto a rifugiarsi nell’unica isola sicura di questo mondo: l’IO. Un io travagliato, implosivo, frustrato, stanco di essere manipolato e ridotto ad un numero dalla realtà storica imperante. Il Realismo Astratto, raggiunto dagli artisti virtualisti della generazione precedente, quale sintesi del dato concreto con quello astratto, sublima creativamente nel desiderio assoluto di trarre un’auto-analisi dal flusso emozionale razionalizzando quei caratteri istintivi, che l’educazione sociale ha precostituito nell’anima del soggetto pensante. Un’operazione deduttiva che opera verso la rimozione dei dati inconsci, rinviandoli attraverso la capacità esecutiva dell’opera d’arte. Abbiamo parlato infatti, di questi artisti come esponenti di una corrente psico-creativista, ovvero discendente di quel neo-creativismo atto a sintetizzarsi in opera definitiva. In questo caso l’opera è solo il punto di partenza di slanci razionali che celano un’irrazionalità latente o di una postuma lettura di quei flussi irrazionali che tentano di essere manifestati. Si perdono le direttive realistiche od astratte come quelle legate alla sfera onirica, metafisica o concettuale. Tutti questi richiami passatisti sono necessari alla composizione perché sono stati inculcati nella mente dell’artista ma rappresentano un vettore di analisi dal quale partire per la comprensione testuale del valore intrinseco dell’opera.

Synaptic è interamente dedicata a Massimo Di Stefano. L’aspetto neurale del titolo già delinea lo scopo del percorso artistico finalizzato a descrivere pittoricamente il rapporto individuale tra la realtà oggettiva e quella del soggetto in esame. In opere come Dentro il tempo (2011) ad esempio, vengono annullate le convenzioni spazio-temporali e l’artista ci guida oltre le barriere del mondo conosciuto. Ci sprofonda nei meandri delle galassie in Cosmic skin (2010), sino ad approdare in un viaggio interstellare attraverso Absolute Disorder fino a Before the Creation (2010). Un viaggio a ritroso nel tempo che ci induce ad attraversare il firmamento penetrando conseguentemente i corpi celesti sino a giungere nel cuore della materia. Geoembrione (2011) costituisce questa penetrazione microscopica negli atomi, in cui l’aspetto dimensionale perde importanza sino a Cellular reorganization after the disaster (2014) in cui entra in collisione con le particelle generatrici della vita studiandone la capacità di adattamento. Ancient traces è il punto di rottura. Costituisce il limite oltre il quale non possiamo andare. Da questo momento in poi la materia è lo spunto per configurare lo spirito. Catarsi (2014) così come Le pieghe dell’anima (2011), rappresentano questo ulteriore slancio verso mondi sconosciuti che solo la pittura ha il potere di portare in superficie. L’opera di Massimo di Stefano consiste proprio in questo slancio virtuale. Rappresenta l’uomo, il suo mondo e le galassie a cui appartiene senza raffigurarlo direttamente.

L’essere umano è il protagonista assoluto perché ciò che rappresenta costituisce il suo punto di vista trasfigurandolo attraverso il conseguente annientamento. In altre parole l’uomo è il lontano ricordo di un punto di vista mentale attraverso il quale abbiamo distinto la micro-dimensione dalla macro-dimensione, ma di lui non è rimasto niente. Di Stefano ci ha indotti nella terra di nessuno, in un non-luogo a metà strada tra la fredda concretezza di un universo in espansione ed un atavico desiderio di giustificarlo attraverso la ricerca di un’anima superiore. Ma in quell’anima ha trovato sé stesso attraverso le proprie idee, attraverso slanci materiali determinati dal lavoro sinaptico delle terminazioni neurali che svolgono vegetativamente il loro compito di trasmissione elettrica. Gli impulsi hanno trovato le immagini e queste hanno dato forma al gesto razionale convertito in opera d’arte.

La pittura diviene lo strumento per eccellenza per condensare queste immagini mentali in forme concrete altrimenti rimosse nella conoscenza astratta. Una psico-creazione atta a cercare una gravitazione possibile di idee plausibili dettate dalla conoscenza scientifica. L’artista cosciente congela in pittura questa consapevolezza concedendoci di viaggiare oltre l’ordinario e la realtà di riferimento viene finalmente sublimata. La nullificazione della tradizione artistica e culturale è il processo dell’arte contemporanea incarnata da Massimo Di Stefano. Siamo andati oltre l’uomo. Dell’uomo non è rimasto niente, solo il ricordo di conoscenze perenni che finalmente prendono forma attraverso opere pittoriche. In questo senso di vuoto la Natura predomina incontrastata e l’Arte ne diviene l’erede diretta.

Il complesso di ricerche svolte da Rinascenza Contemporanea nei due anni e mezzo precedenti trascorsi a Pescara, cittadina dannunziana posta sulle rive dell’Adriatico, ha delineato l’ambizioso progetto di descrivere analiticamente l’insieme delle esperienze creative degli artisti della contemporaneità. Su queste premesse è stata delineata una corrente di transizione tra il vecchio secolo e l’inizio del nuovo millennio mediante la Post-Avanguardia Italiana sino a giungere alla nuova era dell’arte definita Virtualesimo.

Secondo queste dinamiche è stata affrontata la componente arcaista, attraversando quella medioletèa sino alla nuova classicità di stampo neo-creativista. Le caratteristiche virtualiste sono indotte da un avanzamento spropositato delle tecnologie che allontanano l’individuo dalla realtà di riferimento sino a potenziarlo digitalmente in un universo cyber-geografico in cui smarrisce sé stesso pur essendo connesso con la globalità.

Lo smarrimento esistenzialista dall’oggettività e dei conseguenti valori tradizionali lo portano all’individualismo egotista in cui i codici di riferimento del vecchio millennio decadono inevitabilmente. L’arte virtualista giunge a queste tematiche ideali, sociali e culturali sintetizzando la realtà con l’astrazione in quel modo di fare arte che è il Realismo Astratto, in cui coincidono le esperienze primitiviste, post-contemporanee e neo-creativiste. Da qui prende corpo l’Inumanismo. Il Virtualesimo potenzia ulteriormente le proprie caratteristiche genetiche in un’elevazione subitanea del proprio modo di concepire il creato rinnovandolo in profondità.

L’arte post-virtualista è ciò che viene subito dopo la sublimazione precedente essendo contenuta in essa. Abbiamo dimostrato come i criteri di analisi sintetica abbiano correlato le visioni scientifiche con quelle religiose, quelle storiche con quelle filosofiche, quelle del micro-mondo con il macro-mondo. L’Inumanismo descrive la marginalizzazione dell’uomo moderno posto ai confini delle realtà infinite di cui non è l’erede diretto. Comprende di essere abitante di un universo sconfinato di cui la Terra è solo una momentanea dimora. Comprende di adattarsi ad una realtà passeggera nonostante i successi della scienza nel campo genetico, informatico e medico. Comprende i propri limiti psichici nei dati di un’etica sociale retta da regole inevitabili. Fattori che inducono l’artista ad interpretare il mondo circostante come un dono offerto dalla Natura, quasi come un alieno posto su una galassia lontana. Gli Inumanisti sono i cantori di questa consapevolezza mentale, introspettiva, auto-analitica dettata dal puro sfogo sintomatico che porta in luce le proprie pulsioni, in cui la volontà creativa si libera nella manualità. Le tracce di questo fare persistono alla storia, all’etica ed alla cultura dominante.

Pensiamo alle opere di Antonella Fagnani, in cui la via espressiva dettata dalla confluenza dei colori genera forme simboliche che si intrecciano tra loro secondo direzioni binarie dinamizzate psicologicamente dal divenire temporale.

Su questa scia compositiva assistiamo alle sculture di Giovanni Stranieri, puro manipolatore degli elementi come il ferro, il legno, la pietra. La sua abilità nel dare vita a ciò che vede di inanimato lo induce a traslare nell’atto pure formulazioni creative che ricercano gli archetipi. Cosa che avviene in maniera analoga ma stilisticamente diversa nelle opere di Ivana Storto. I suoi paesaggi costituiscono un diario di viaggio, di sensazioni, di profumi ed atmosfere lontane che scavano nel ricordo nostalgie di luoghi che ha vissuto direttamente e continueranno ad esistere oltre il tempo.

Le stesse geografie che eclissano nelle audaci architetture metafisiche di Dario Somigli in cui i vuoti ed i pieni rivelano quelle zone d’ombra tra la realtà ed il sogno, tra la luce e la tenebra, tra la vita e la morte. Anche qui gli archetipi e le angosce di un’epoca dissolutiva.

Giuseppe Torre traduce la nostalgia di tempo dinamico in desiderio evasivo, dove la pulsione atemporale del sogno si congela in istanti sublimi. Il colore e la forma concretizzano il desiderio dell’anima tumultuosa dell’esistenza mentre consuma il suo divenire.

Alfine Tommaso Di Nunno oltrepassa il mondo e guarda dentro sé stesso generando nuove mitologie in cui l’uomo sprofonda nei suoi sogni. L’uomo, oltre l’uomo, dicemmo infatti a proposito del virtualesimo.

Se i virtualisti avevano imparato la lezione dalla consacrazione di tutti quei valori che il Novecento aveva inculcato nella cultura artistica, i post-virtualisti la portano oltre. Gli occhi della critica moderna osserva il fare degli artisti attuali con gli stessi strumenti applicati per quelli novecentisti. Non è un errore od una svista. E’ sicuramente la conseguenza di un processo culturale inevitabile. Il vecchio Novecento ha rappresentato sicuramente lo slancio ideale per la modernità attraverso le rivoluzioni avanguardistiche sino al trionfo delle astrazioni informali che miravano ad una soggettività istintiva fondata sulla concettualizzazione. L’artista intellettuale ha bisogno di essere rinnovato. L’artista post-virtualista traduce il neo-creativismo precedente smarrendo l’istinto e ritrovando nella logica formale, cromatica e significativa il proprio modo di essere. La volontà di superare gli schemi tradizionali diviene centrale nella composita griglia dei creatori attuali.

Elementi relativi al mondo concreto, all’idealità soggettiva, al sogno psichico si amalgamano tra loro in percorsi che ricercano espressivamente i dati del rimosso. Gli Inumanisti avviano questo processo psico-creativo verso nuove frontiere in cui i caratteri del rimosso vengono a galla e la sfera inconscia ha modo di tradurre in opera d’arte quel vuoto incomparabile che separa il singolo essere da tutto ciò che lo circonda nello splendido miracolo del Creato. 

La mostra Ouroboros. La Fine e l’Inizio, chiude definitivamente il ciclo virtualista applicato fino a questo momento da RINASCENZA CONTEMPORANEA. La dimensione storica ha riscoperto dalla Post-Avanguardia Italiana sino all’Ars Nova il gruppo Neo-Creativista attraverso il quale è stata definita la dimensione Iconica post-contempornaea, ovvero l’arte del futuro basata sul Realismo Astratto. Dal profilo spirituale, invece, il percorso Dogmatico è confluito in quello Anteico sino al rinnovamento Antropico. Dettami di una ricerca assidua di cui gli artisti divengono i rappresentanti d’eccellenza di questa rassegna dapprima teorica ed ora finalmente visibile nella concretezza. E l’Ouroboros sembra proprio il simbolo privilegiato per definire questo passaggio. Sappiamo che nell’Antico Egitto rappresentava la Via Lattea considerando che nelle visioni arcaiche corrispondeva ad un gigantesco serpente di luce che circondava la Terra. Costituisce infatti il riferimento alla ciclicità della natura in relazione all’eterno ritorno dell’anima per mezzo della quale la dualità delle forze si ricongiunge alchemicamente nell’assoluta unità. D'altronde il serpente è sempre stato associato a forze sovrannaturali sia per quanto rigurada le popolazioni precolombiane che quelle orientali o di stirpe celtica. Il fatto stesso che cambiasse la propria pelle lo relegava ad animale sacro correlandolo alla rinascita. Se pensiamo al serpente che cinge la Stella di Salomone ci rendiamo conto che rappresentava l’iniziazione occultistica che poi gli alchimisti delle epoche più tarde identificheranno con quello scacciato dal Paradiso Terrestre quale simbolo di trasformazione. Queste premesse si correlano alla significazione data per la chiusura di un ciclo pittorico e l’apertura di uno nuovo. Il Virtualesimo appunto. L’inizio della nuova Era dell’Arte contemporanea, del nuovo secolo di audaci artisti attuali, ha scandito il suo divenire mediante una fase Arcaica, una Medioletèa ed una Classica. La sintesi dei vecchi schemi novecentisti è stata assorbita sino a svanire nei gradi ricettivi degli artisti così come dei fruitori oramai smarriti innanzi ai vecchi concettualismi. Il Virtualesimo apre la via all’Inumanismo. L’uomo oltre l’uomo, forse.   L’uomo nuovo…

La perdita dell’oggettività antica era sfociata negli slanci soggettivi che per tutto l’800 ed il 900 avevano intellettualizzato l’arte sino a renderla inespressiva o di tendenza poverista. La perdita di Dio e la mitizzazione delle esperienze individuali si sono smarrite e l’antropomorfizzazione della realtà si è consumata. Sergio Galiero è l’araldo assoluto di questa transizione. E’ un artista post-contemporaneo per il fatto di relativizzare l’oggettività della realtà di riferimento scardinandola espressionisticamente in simbologie soggettive che rinviano ad inespressionismi idealizzati che sfociano in pure astrazioni metafisiche. Pensiamo a lavori come Anemone Viola (2014), un tempera su carta in cui traduce il frutto della creazione naturale nel proprio slancio espressivo. Stessa cosa che avviene in Maschera (2014), un olio su tela che denuncia apertamente questo conflitto tra la realtà ed il sogno. E’ neo-creativista perché smette di guardare con gli occhi ma vede con lo spirito generando nuove mitologie, nuovi mondi figli dell’immaginazione. Donna di sangue (2014), così come Red Magik Woman (2013) o Blue Valentina (2014) ironizzano quasi con gli attualismi mass mediatici in cui pubblicizzano solo in teoria i gradi di parità dei sessi senza però metterli in pratica. La donna, la madre, il ventre della creazione, il simbolo della domus viene stravolto dall’interno sino a ricostituirsi secondo gli stereotipi d’un mondo in trasformazione. Ecco Madre (2009), infatti, tradurre queste premesse nello schizzo istintivo del figlio adorato, dell’eterno bambino che giace in noi. Galiero è primitivista. Pensiamo agli slanci formali de La spia (2009) o cromatici di Giocando con i colori in cui il flusso compositivo deriva dalle sensazioni generate dall’esterno, maturate in profondità e venute a galla attraverso la pittura.  Ma la sintesi assoluta di questo percorso artistico si consolida nell’opera intitolata Fenice (2014). Qui siamo in presenza dei fattori sopradescritti maturati nel tempo. Coincidono le deduzioni informali, neo-avanguardiste, concettuali della tradizione pittorica. Coincidono i gradi oggettivi e soggettivi del virtualesimo sino a sfociare nella neo-creatività pura che confluisce nell’istaurazione concettuale di nuove mitologie. Iper-modernità sfocia nel primitivismo espressivo. Inumanismo, appunto. Sergio Galiero ovviamente non è un caso isolato. Altri artisti come lui vivono d’arte, di sensazioni ed emozioni da condividere con il pubblico. Chiude un’era e ne apre un’altra. Proprio come il mistico serpente gnostico che si mangiava la coda annunziando un tempo che progrediva inarrestabile verso la fine ma che poi ricominciava con nuova pelle. 

 

Il percorso storico attuato da Rinascenza Contemporanea si compie in questa mostra intitolata ICON. Flusso Post-Contemporaneo, in cui le dinamiche espressive della nuova era dell’Arte, il Virtualesimo, giunge alla piena maturità ideale. In questa sede sono state affrontate le caratteristiche del Nuovo Arcaismo Contemporaneo, in cui gli artisti venivano distinti stilisticamente per il loro approccio alla realtà o per il loro desiderio di infrangerla, abbiamo attraversato il Transizionalismo Medioletèo mediante pratiche impressive od espressive che connaturavano l’individualità artistica nel fare arte. L’ultimo periodo, l’Ars Nova ha instaurato la matrice Neo-Creativista, in cui i flussi mitico-essenziali e quelli scientifico-connettivisti di indagine sono trasmigrati nella corrente Post-Contemporanea atta a sintetizzare per l’artista e l’osservatore, l’apice di una sintesi moderna che prende il nome di Realismo Astratto. Il concetto tradizionale di forma viene stravolto al suo interno scoordinando i principi di realtà, di astrazione o di bellezza. I post-contemporanei vengono dopo il presente nel senso che lo rifiutano nelle sue consuetudini e lo perseguono con il loro fare. Sembra un linguaggio discendente dalla componente informale, ma la forma viene ricostituita mediante il divenire cromatico e quella tipizzazione al limite dell’astratto assume le dinamiche d’un realismo interiore che viene in superficie. Un nuovo modo di intendere l’iconismo dunque, secondo flussi di pensiero che osservano consciamente gli stati interiori mettendoli in campo mediante la pittura. Sembra quasi che eliminino i sensi per recepire il contingente in modo da destabilizzare l’oggettività dettata dallo sguardo, l’emotività del suono, l’onniscienza olfattiva e del gusto così come la concretezza tattile. Spalancano un occhio interiore che traduce in atmosfera sensibile i dati del mondo reale, così come siamo abituati a leggerlo e lo derivano in composizioni assolute. DerivAzioni pure. Moti individuali che richiamano lo stato perenne dell’anima ancor prima che si manifestasse in questa vita ed in questa forma o dimensione. DerivAzioni pure dell’Essere incontaminato che è in noi colto sensibilmente dal gruppo di Artisti-Sacerdoti che lo riportano in vita. Si tratta di un viaggio sconfinato che l’Anima (Individuo) ha affrontato nell’Ente (Cosmo) e come luce, luce congelata, ha preso forma adattandosi alle strutture dimensionali, organiche e culturali sino ad approdare a quelle storiche e sociali che costituiscono i codici comportamentali della nostra epoca. Una tipologia linguistica che scruta l’inscrutabile ossia preclude l’Ego rinviandolo ad una dimensione eterna in cui la direzionalità della logica viene finalmente messa in discussione. Sotto questa luce viene affrontata la componente iconica, sradicandola dal tradizionale significato di “essere simile”, di “apparire” od al concetto di “immagine”, poiché rinviavano ad immagini sacre o votive così come intese dalla cultura bizantino-cristiana dei secoli precedenti. Parliamo quindi di un iconismo trasfigurativo in cui viene congelata l’anima sin qui descritta. Ed ognuno dei nostri artisti trasfigura il proprio modo di sentirsi derivAzionando il proprio Ego. I moti compositivi di Antonella Rizzo, fissano questa materia portandola a dinamizzarsi nell’attimo in cui lo sguardo dell’osservatore la contempla. L’aspetto centrifugo e centripeto delle sue opere placano i sensi, coinvolgendo direttamente il divenire temporale di uno spazio ambiguo che muta perennemente l’ottica ricettiva sino al completo assorbimento inconscio. Gli agglomerati materici sono quindi in costante trasformazione deframmentandosi in successivi costrutti ideali. L’operazione artistica che compie Luigi Sentina sembra partire da queste premesse poiché interrompe il flusso temporale isolando dal turbine delle sensazioni precedenti delle particelle sub-atomiche che penetrano ulteriormente la materia sino a congelarla in costrutti essenziali. Dalle macro-strutture affonda in agglomerati fluidi che stabilizzano astrattamente i legami della materia. Solo a questo punto possiamo leggere il percorso pittorico di Domenico Levato. Nella sua pittura iconica, ricompone l’inorganicità della materia restituendocela concretizzata esternamente ma espressa nella sua essenzialità connettiva. In altre parole torna nella nostra dimensione offrendoci primissimi piani di elementi reali stravolti dalla peculiarità del punto di vista. La ripetizione parossistica dello stesso fattore induce alla scomposizione logica ed alla conseguente ricomposizione neurale. Dall’idealità si muove l’universo compositivo di Anne Delaby che traspone l’aggregazione energetica sin qui descritta in flussi costanti di luce pura che attraversano lo spazio ed il tempo. Le sue composizioni attraversano il cosmo, la materia e le forme semplici convertendo la concretezza degli elementi in energia allo stato puro. In questo modo attraversa lo spazio metafisico affondando nei recessi dell’aura primigenia. Ed è questo il canale espressivo utilizzato da Elisabetta Repole per giungere al significato intrinseco delle sue opere. Il suo modo di intendere l’iconismo è caratterizzato dalla significazione simbolica che attua attraverso l’uso dei colori. I richiami alla realtà o ad elementi immediatamente riconoscibili non sono altro che derivazioni individuali di uno stato interiore che vive per mezzo dei propri sentimenti la realtà che attraversa. La luce, quella dell’anima appunto, gioisce, soffre, ama congelando sé stessa in espressione pura. E la libera espressione, quella individuale, costituisce l’unica verità, l’unico punto fermo per un’Era travagliata come quella in corso. Forse è stato sempre così. L’attuale crisi storica ha variato politicamente, economicamente e socialmente le istituzioni tradizionali, degradando l’uomo di qualsiasi razza a pura funzione strutturale. Le conoscenze scientifiche, dalla genetica alla ricerca astrofisica hanno decentrato le vecchie credenze. Assistiamo quindi alla totale Dissoluzione della civiltà. Quella che chiamiamo crisi globale costituisce la trasformazione del vecchio ordinamento al nuovo: l’Inumanismo. L’arte, ovvero la filosofia estetica dell’individuo, ne paga lo scotto. Spetta solo agli artisti – sacerdoti creare nuove mitologie e spalancare lo sguardo dell’inumanità attuale. I nostri Post-contemporanei hanno iniziato questo processo condividendo con noi i loro sogni ad occhi aperti, consentendoci di assistere alla generazione delle loro emozioni profonde.

 

Rinascenza Contemporanea tocca una mostra monografica incentrata sui caratteri distruttivi/creativi dell’universo. Un buco nero, infatti, comprime la gravità scoordinando le direttrici fondamentali quali lo spazio ed il tempo concentrando la materia atomica in nuove formulazioni che origineranno nuove dimensioni di vita. In Natura vita e morte, coincidono. Il Caos costituisce il preambolo al nuovo ordine costituito. Dal disordine all’ordine e questo dura pochi attimi cosmici. In uno di questi agglomerati momentanei è derivata la vita sul nostro pianeta. L’orizzonte degli eventi è la barriera di questi agglomerati materici oltre i quali non esiste niente. Tutto l’esistente viene risucchiato a velocità supersonica comprimendosi in nuove possibilità esistenziali. In argomentazioni simili l’Uomo è una piccola particella. La Terra, i mari, le montagne, così come le passioni, i ricordi o le atmosfere mortali sono solo un mero passaggio. Ciò che resta delle nostre civiltà è solo una proiezione momentanea. Nel panorama di queste filosofie effimere l’arte segna la tappa sublime di un percorso universale. L’artista vede, sente, traduce in gesti che resteranno nel tempo e nello spazio oltre le leggi di natura. L’opera d’arte segna un punto di non ritorno in cui tutti i miti dell’esperienza umana vengono sfiorati mediante l’uso della materia grezza sino alla sua ricombinazione ordinata. Anche qui l’ordine ed il disordine coincidono idealmente. Il processo creativo costituisce la dimensione centrifuga attraverso la quale le idee si agglomerano in percorsi soggettivi sino ad esplodere in formulazioni nuove, oggettive. La soggettività diviene sempre oggettività. L’arte traspone i caratteri dell’ego in dimensioni assolute. Valori universali, archetipi, presupposti di una psicologia autonoma trasposti in leggi esistenziali. Questi derivati esprimono l’arte. L’espressione è totale ma nello stesso tempo fugace, passeggera e caotica. Un’espressione individuale costituisce la testimonianza ideale della materia grezza ricostituita. Qualunque accenno ad uno stile assoluto determina l’analisi d’un equilibrio momentaneo, fuori dall’ordinario. Ezio Bruno è l’artista che descrive questi processi interiori portandoli fuori mediante figurazioni oggettive che trasmettono i simboli della sempiterna  bellezza  incarnata  dal  Creatore o dalla Natura. Pensiamo a lavori pittorici che viaggiano su archetipi indissolubili e che da sempre hanno animato le dispute ideologiche. La vita e la morte divengono speculari quali formulazioni necessarie per comprendere la grandezza di un’esistenza comunque donata da Dio o dalla Natura, dal Caso o da un Disegno celeste. Le sue opere ci parlano di queste verità in modo schietto e diretto, trasponendo la figurazione ad un’oggettività baroccheggiante intrisa di passione e di linfa vitale. In opere come Primavera (2010), ad esempio, la stagione della rinascita è celebrata da una Ninfa che antropomorfizza la vita sulla Terra. In Stagioni (2014) assistiamo allo stesso processo denotativo di relazione tra l’essere umano ed il mondo circostante. In Lupo (2012) invece, oblia l’uomo per rappresentare una sorta di animale siderale in cui la natura fatata oltrepassa la ragione stessa. Contadino al lavoro (2012) è il canto bucolico di un paradiso perduto, ora che la civiltà avanza inesorabilmente con le proprie tecnologie. Ancora l’incanto di Marina con gabbiani (2010) il cui la Natura è governata dalle sue leggi implacabili a cui l’uomo è perennemente soggetto. Poi affronta il dono secondo la luce del miracolo. In Il deserto fiorirà (2006), torna al mondo prima dell’uomo o dopo l’uomo, quasi come se il Diluvio Universale avesse devastato la Terra e l’ordine fosse ricostituito.  Ne Il mondo che vorrei (1995) invece, decanta il ritorno ad un universo puro, innocente, spontaneo. Capolavoro indiscusso Una generazione va (1985), in cui le età del mondo si susseguono nei processi cosmici. Fede e ragione si amalgamano perfettamente.  Una sorta di trittico delle meraviglie in cui è decantata la certezza di un paradiso celeste a cui è destinato l’uomo. Da qui si addentra oltre i limiti del conoscibile. Dai mondi oscuri di Grotte (2013) in cui un ventre materno produce i semi di un’esistenza assoluta sino alla luce mistica di Visione del Profeta (1998). Qui il sogno di una forza divina incanta l’uomo, oltre i limiti della vita e della morte. Ezio Bruno è tutto questo. La sua pittura descrittiva rimanda a simbologie archetipiche in cui il significato è legato al suo significante. La rappresentazione documentaria della realtà terrena è affrontata con perizia tecnica ed esecutiva ma si innalza ad una spiritualità interiore proprio attraverso le cose del mondo. La prova della grandezza universale è dimostrata in Terra. Vita e morte coincidono. Dio e Natura si compenetrano. L’uomo è lo strumento ideale di questo linguaggio assoluto. I percorsi creativi e distruttivi della Natura divengono testimonianza di un processo elevato per quanto inaccessibile ai limiti della mente umana. Possiamo sfiorare, solo sfiorare i disegni di una forza così devastante. L’arte diviene lo strumento ideale per compiere questo passo estremo e l’occhio non può far altro che assistere al miracolo del mondo e contemplare la bellezza.

Dopo aver affrontato le dinamiche dell’espressione pittorica Essenzialista, Rinascenza Contemporanea affronta ATOM. L’Apogeo Connettivista in cui sei artisti italiani accostano i propri lavori con l’obiettivo di condividerli con il pubblico. Se l’Essenzialismo delineava i cardini di un discorso soggettivo in cui l’Ego era il protagonista assoluto di un’espressione centripeta in cui tutte le cose della realtà convergevano in una ritrovata umanizzazione del discorso universale ora, nel discorso Connettivista l’Ego scompare cedendo il posto all’oggettivizzazione del Creato in tutte le sue manifestazioni logiche. Una visione centrifuga che decentra l’uomo con i suoi paradossi logici e la Natura diviene matrice incontrastata di fenomeni che l’artista ha il compito di raccontare. Dai processi simbolici di divinizzazione della luce in cui avviene un’antropomorfizzazione dei caratteri esistenziali ora la materia regna incontrastata perdendo riferimenti spirituali: la realtà diviene motore di indagine e le atmosfere, i ricordi, le sensazioni pregnanti scendono in campo mentre l’opera parla direttamente con il pubblico. L’atomo, unità fondamentale della materia diviene strumento aggregativo della dispersione soggettiva. Sappiamo che sono costituiti da protoni, neutroni e da orbite esterne di elettroni e che relazionati tra loro costituiscono le molecole. Sappiamo anche che i quark fondamentali contenuti in essi reagiscono nello spazio cosmico sino a determinare esplosioni definite dalla scienza Big Bang. Secondo queste premesse, l’universo si espanse da questo stato iniziale estremamente denso e caldo portando le galassie ad espandersi a loro volta in ogni direzione. Ogni galassia è costituita da infinite stelle che bruciano costantemente il proprio carburante atomico sino a divenire Giganti Rosse, Nane Bianche e Stelle di Neutroni sino a Quasar e Buchi Neri, in cui le leggi gravitazionali intensificano il loro processo disgregante inghiottendo tutto. Oltre questi condotti gravitazionali, gli atomi ridotti a pulsar provocheranno nuove esplosioni nucleari e nuovi Big Bang. Un moto oscillatorio, perpetuo, costante che dura pochi attimi. Ma l’universo di cui facciamo parte è solo un universo di riferimento. Altri, milioni di universi e galassie in essi contenute vivono questi processi evolutivi. Secondo la Teoria Pluriversale gli Universi si espandono ed implodono perennemente in  Macro  -  Atomi di energia primordiale senza fermarsi mai: la luce, Dio, Natura. La Terra, l’Uomo ed il Mondo sono solo un Attimo Galattico. Nessuna centralità o superiorità di sorta. Forme viventi adattatesi, in questa breve Inter- Glaciazione destinata a mutare e far scomparire le forme viventi attuali. Altre si adatteranno ai nuovi cicli terrestri, finchè la Terra non soccomberà con il suo Sole e la sua Galassia nel suo Universo. Allo stesso modo l’idea artistica si insinua nella mente del suo Creatore e prende forma proprio attraverso la materia. Sauro Tupini, ad esempio, scandisce i dati della realtà oggettiva in assemblaggi formali in cui esclude l’uomo ma i richiami alla sua esistenza sono costanti. Dati di un paesaggio, di una finestra sul mondo che parla direttamente all’anima inquieta di chi cerca dentro sé stesso. In maniera analoga si muove Laura De Angelis anche se la figura umana viene descritta direttamente: il suo espressionismo figurativo rappresenta l’interiorità di una materia colta nel suo divenire. Gli stati interiori vengono fuori secondo vettori riconoscibili. Le pratiche arcaiste fin qui descritte si elevano in quelle transizionali attuate da Salvatore Trovato, nostalgico cantore di atmosfere perdute che richiamano direttamente la vita e gli adattamenti esistenziali alle cose del mondo. Uno scorcio poetico fatto di passione mediterranea in cui la ricerca simbolica ricorda i desideri di bellezza attuati da Diego Bonsi, con le splendide pose femminili al limite di un neo – Pop rivisitato in chiave moderna. Ogni sua posa è un richiamo sublime all’eternità perduta. La chiave classica viene invece indagata da Fiorentino Manganiello, in cui la bellezza stessa diviene il mistero di universo scomposto. L’attimo diventa posa di figurazioni archetipiche che sopravvivono alle devastazioni naturali. Angeli celesti di una mitologia sempiterna. Processi analoghi ma intrisi di romanticismo nei soggetti evocati da Claudia Carlone, giovane poetessa di una bellezza mitica in cui l’umanizzazione delle cose sublima in gesti ancestrali sino a perdersi oltre l’orizzonte degli eventi. I corpi come stelle roteano secondo le orbite fornite da un fato cieco che snatura e trasforma perennemente privando la materia della sua eternità. Solo l’arte può tanto. Questi artisti connettivisti, affrontano la pittura come vocazione divina. Il loro scopo è quello di descrivere ciò che vedono come vettore essenziale di ciò che si muove oltre il loro sguardo. L’opera d’arte diviene un coacervato di significanti connotativi. La de-umanizzazione derivante comporta l’origine d’un nuovo rinascimento ideale in cui l’uomo è solo centro di sè stesso ma granello indissolubile di un meccanismo più ampio che lo periferizza totalmente. La marginalità di questa esistenza diviene la spinta eroica di un decadentismo filosofico, di una visione della vita e del mondo cosciente, priva di illusioni o false retoriche. L’arte, la vera arte costituisce questo traguardo ideale ed il cosmo può trasformarsi oltre le nostre congetture culturali.

Giunti, ormai al culmine del discorso virtualista, in cui dati dell’Essenzialismo pittorico hanno rievocato la sostanza denotativa dell’Ego, siamo in grado di affrontarne l’aspetto spirituale dell’immagine contemporanea in una mostra mini-personale riguardante due artiste italiane: Patrizia Borrelli ed Oria Strobino. PARNASSOS. Le cantiche spirituali, incarna queste premesse mediante la rievocazione visiva delle nove Muse che abitano il Parnaso, il monte sacro venerato ai tempi della Grecia antica, quale dimora del dio Apollo e delle nove Muse, appunto. Figlie di Zeus  e della dea della memoria Mnemosine, stavano sotto la protezione del dio del sole Apollo, quindi venivano invitate alle feste degli dèi e degli eroi per allietare i convitati con canti e danze. Pensiamo che il loro canto più antico risale alla vittoria degli dèi sui Titani e fu Apollo a trasferire la loro dimora, dall’Elicona sul Parnaso a Delfi. Erano considerate le protettrici delle arti ed in questo senso abbiamo considerato dieci opere  che consacrano le nove arti di riferimento più l’invocazione ad Apollo, protettore delle arti. Pensiamo dunque a Talia, la festiva, che incarna la Commedia, rappresentata da una maschera. Od ancora Clio, che aiuta a divenir celebri, rappresentata con una pergamena poiché incarna la Storia. Calliope, colei che ha una bella voce, ovvero la Poesia Epica, spesso rappresentata con una tavoletta di cera. Melpomene, colei che canta, incarna la Tragedia, spesso rappresentata con maschera e spada di Eracle. Tersicore, rappresenta la Danza, mentre Erato, che con l’ausilio della Poesia Amorosa, provoca il desiderio. Ancora Euterpe,  che rallegra con la Poesia Lirica, incarnata da un flauto. Polimnia, rappresenta invece il Mimo, la recitazione ed infine Urania, colei che è celeste ed incarna l’Astronomia e con un bastone indica il cielo. Apollo, detto il Musagete, le proteggeva ed illuminava gli animi di coloro che le veneravano, affinchè trovassero l’ispirazione per creare opere immortali. Il ponte tra l’Universo  e  l’Ego  veniva  così  forgiato  in  modo  che  guardando fuori si trovasse dentro la via per l’immortalità. Oria Strobino, incarna perfettamente queste direttrici ideali manifestandole pittoricamente, mediante uno stile sicuro atto a materializzare dati dello spirito in dati concreti. La sobrietà dello stile e l’equilibrio compositivo affrontano con dovizia i dettagli esplodendo in vorticosi slanci spirituali che decantano la bellezza. L’artista biellese, trasferitasi a Cesena, dal Ciclo delle Vibrazioni estrapola opere come Vibrazioni di un sorriso in cui consolida il senso mistico della Musa Talia assopita nella maschera fluttuante della spensieratezza giovanile. Vibrazioni di un ricordo, indaga interiormente verso il passato, concependo il senso razionale della Musa Clio. Calliope, invece, ci viene restituita con Vibrazioni di un sogno, per mezzo d’una figura immersa nell’interiorità espressa simbolicamente dalla poesia epica. Melpomene, la Tragedia, viene espressa da Vibrazioni senza maschera, in cui la figura è adagiata in uno spazio vuoto, senza indossare l’emblema del proprio ruolo sociale. Vibrazioni kromatiche, infine, tocca la danza rappresentata dalla Musa Tersicore. Anche qui il senso fisico di relazione tra il corpo e lo spazio, diviene centrale nella caratterizzazione d’un simbolismo concreto in cui la bellezza del corpo femminile diventa strumento di elevazione intellettiva. Dall’altra parte, l’artista romana laureata in medicina, Patrizia Borrelli, continua l’esperienza formale inseguendo fluttuanti immagini femminili intrise di misteriche sensazioni che riportano lo spettatore ad una dimensione arcaica. Erato, ad esempio, la Musa della poesia amorosa ci viene restituita con Arpa’n’blues (Al chiaro di luna si vedono cose altrimenti invisibili), in cui l’immagine di una figura eterea sonorizza il gesto in sonorità poetiche. Oppure l’immagine della poesia lirica, Euterpe, torna in auge con l’opera Euridice (Risvegliata), dove veglia e sonno entrano in contrasto tra loro. Mistico Ermafrodito, costituisce il mistero della Musa Polimnia, incantatrice dei silenzi mediante l’estetica del Mimo. Sino ad Urania, la sacerdotessa dell’astronomia, incarnata da Leucotea nata dalla schiuma del mare, da cui tutto discende. Infine la relazione ad mitico dio Apollo, immortalato dall’astro lunare di Una notte d’Estate, quasi una sonata illuminante di passaggio tra il Sole e la selenica luna. Entrambe incarnano la bellezza femminile secondo figurazioni e stili che conflagrano in questo senso estatico di simbolismo moderno. Una sorta di ritorno all’ordine concepito differentemente: mentre Oria Strobino indaga un realismo poetico di stampo visibilista, concretivista in chiave esteriore, Patrizia Borrelli attua un realismo espressivo di stampo sensibilista, sensitivista con forte ascendenza interiore. Il loro neo-creativismo essenzialista ripercorre le strade dell’Ego incorporando tutto ciò che appartiene alla realtà di riferimento. Caliamo così nel mondo incantato delle Muse arcaiche, dove il Simbolismo ci riporta alle delizie dei primi decenni del secolo scorso.

 

Il percorso Neo-Creativista attuato da Rinascenza Contemporanea, viene questa volta approfondito da una mostra centrale intitolata HELIOS. L’Essenzialismo Creativo in cui otto artisti mettono in campo le proprie ricerche visive al limite dell’idealità personale. Secondo il mito Helios era il dio dell’astro solare che, dopo aver attraversato il mare da oriente ad occidente tornava col suo cocchio all’interno di una coppa nell’oceano. Correlato anticamente alla formula del Sol Invictus, aveva origine in oriente in cui esistevano celebrazioni del sole nascente, pensando all’Egitto od alla Siria in cui i celebranti uscivano dal sacro tempio a lui dedicato, verso la mezzanotte, annunciando che la vergine aveva partorito il Sole, raffigurandolo come un infante. AION, incarnava l’eterno ritorno secondo una lotta tra la luce e le tenebre. A Roma era conosciuto anche come dio Mitra, la cui nascita era prevista il 25 dicembre, fase in cui veniva celebrato il solstizio d’inverno. Elementi che il pantheon latino attribuirà al nostro Messia. Secondo il Libro di Malachia, il re dei re annunzierà infatti: “ La mia giustizia sorgerà come un sole e i raggi porteranno la guarigione…il giorno in cui manifesterò la mia potenza voi schiaccerete i malvagi…”. Pensando al III canto dell’Iliade, Helios viene presentato come colui che tutti vede e tutto ascolta: “Zeus padre, signore dell’Ida, grande e glorioso, Sole che tutti vedi e tutto ascolti, fiumi e terra e voi che sotto terra punite da morti coloro che giurano il falso, siate testimoni e custodite i patti…”. Indi per cui costituiva la rappresentazione della Verità. Il Sole incarnava l’occhio infuocato di Dio che tutto vedeva oltre la sfera delle tenebre. Dati essenziali che tornano in arte secondo un percorso che traduce il percorso astratto della luce in formulazioni concrete che prendono via via forma sino a congelarsi in risultanti definitive. Le indagini sensibiliste e quelle visibiliste, così come quelle sensitiviste e concretiviste, trovano finalmente la loro sintesi perfetta, attraverso il risultato finale che porta l’Ego, allo slancio finale. Partiamo dai gradi della luce pura pensando dagli smalti di Gabriella Tolli il cui dato istintivo trova propria espressione pura. Le cromie vincono sui limiti della materia riportando l’essere alla pura sostanza.  L’impeto realizzativo trova nel supporto il senso ultimo del suo divenire precludendo la potenza dell’espressione su quella della logica. Il sensibilismo sensitivista interiore apre le porte a quello esteriore pensando agli slanci simbolici  di  Valerio Doddi, che incanala il gesto formale congelandolo in percorsi cromatici in cui la luce celeste trova piena manifestazione in visioni mentali. La sua espressione sensibilista giunge ad una forma di iconismo essenziale. Il sensibilismo diviene concretivista con Francesco Zacchi che  traspone i dati comatici attraverso la metafisica fluida di ascendenza concettuale per mezzo della quale il sogno prevarica sulle idee sino alla ricostituzione soggettiva del dato ricettivo. Il colore giunge al richiamo formale. Punto di congiunzione al concretivismo esteriore Maristella Angeli con una serie di alberi che incarnano il legame tra la terra ed il cielo attraverso le radici che incarnano simbolicamente la correlazione metafisica tra l’universo interiore a quello esteriore. Il sensibilismo diviene visibilismo. Queste peculiarità divengono fondamentali per Claudia Pancera che ricerca la forma proprio attraverso quel grado empatico di sensazioni che quel contesto concreto scaturisce sulla propria fantasia e l’arte diviene lo strumento per eccellenza attraverso il quale comunicare con il mondo. Pensiamo ai lavori del maestro francese Alexandre Saturnini, in cui la poetica del rappresentare paesaggi reali viene traslata attraverso il senso di esaltare emozionalmente l’attimo esistenziale in cui la luce comunica direttamente alla sua anima e rinviarla in puri slanci cromatici. Fin qui il visibilismo sensitivista è stato esteriorizzato sino a tramutarsi in forma concretivista. Enrica Toffoli ne è l’esempio peculiare: traspone i dati reali idealizzandoli in potenza sino a personalizzarli nella concretezza. La soggettività viene progressivamente fuorviata sino ad amalgamarla a contenitori formali significanti che descrivono realtà sociali di riferimento. Infine Clara Brunelli che assembla frammenti di meteoriti ritrovati sulla terra in opere figurative che descrivono il percorso evolutivo della vita nell’universo, secondo una logica scientifico/artistica senza precedenti. Il frammento di meteorite HAH 296 assemblato nelle sue opere ha circa 4,5 miliardi di anni ed è caduto sulla terra qualche centinaio d’anni fa ed è una vera roccia di origine cosmica. Le vie del visibilismo sensitivista giungono così al concretivismo puro in cui frammenti della realtà/verità, documentano il percorso della luce attraverso la materia, sino alla propria manifestazione terrena. Le espressioni ideali fin qui descritte inducono il neo-creativismo alla sua formulazione essenzialista, secondo la quale i dati del visibile e del conoscibile vengono sintetizzati in una forma di nuovo iconismo che ha per oggetto la pura rappresentazione dell’EGO. Non la realtà esteriore ma quel grado totale di verità sublimata in forma d’Arte.

 

 

                               ORPHEUS

                      Viaggio attraverso i Mondi

                          di Marco Creatini

                    29 marzo 2014 - 29 aprile 2014

L’aspetto Spirituale attuato dalle mostre di Rinascenza Contemporanea, dopo aver attraversato la fase Dogmatica e quella Anteica giunge con questa personale dell’artista piemontese Marco Creatini dal titolo Orpheus. Viaggio attraverso i mondi, al suo compimento in quella fase sintetica definita Antropica. E per Antropico definiamo la caratteristica dell’Arte Attuale protesa in sé stessa in cui gli artisti descrivono la realtà oggettiva del mondo secondo una visione personale che apre nuove prospettive nel panorama della contemporaneità. Concetto integrato ad un’evoluzione storica delle arti secondo cui le matrici arcaiche come quelle medioletèe di riferimento si manifestano appieno in una Nuova Classicità dedotta dall’Ars Nova ed espressa dai neocreativisti. Il nostro Marco Creatini è un neocreativista per il fatto che sintetizza le esperienze tecniche della tradizione spingendole in avanti per mezzo d’un visibilismo concretivista atto all’ideazione pittorica di nuovi mondi possibili in cui nuovi miti o nuove possibilità di pensiero prendono finalmente vita. Nato a Bollate (Mi) il 9 aprile del 1973, frequenta il Primo Liceo Artistico presso l’Accademia Albertina di Torino sino all’Accademia delle Belle Arti di Torino che lo porterà a frequentare lo studio del Maestro Antonio Nunziante ed esponendo i propri lavori in diverse rassegne italiane. Come ricordato sopra è figlio della tradizione otto – novecentesca senza però cadere nella ragnatela dei passatismi novecentisti perché proietta la propria affezione formale ad un linguaggio più ampio che predilige la metafisicizzazione onirica delle idee in formulazioni progressive atte alla costituzione di nuovi miti attraverso nuove visualità. Queste le ragioni essenziali che mi hanno indotto al mito di Orfeo. Orpheus era considerato infatti l’artista per eccellenza, ovvero colui che con la sua sensibilità poteva incantare gli animali e viaggiare oltre i confini del nostro mondo. Figlio della Musa Calliope e del re tracio Eagro dimostrò sin dall’infanzia un dono sconsiderato per la musica che spinse il dio Apollo a divenire il suo maestro di Lira. Sappiamo che prese parte alla spedizione degli Argonauti di Teseo e qui mostrò il suo coraggio facendo salpare con il suo canto la nave incagliata nel porto di Jolco, infondendo coraggio ai compagni esausti a Lemno o sconfiggendo il potere delle Sirene. Ma la vicenda che caratterizzò la sua figura fu la discesa negli inferi per amore della vergine Euridice che sposò ancora giovane. Aristeo, uno dei figli di Apollo corteggiò la giovane donna che per sfuggire dalle sue lusinghe morì dopo essere stata morsa da un serpente. Ed Orfeo discese nell’Ade e con la sua lira incantò Caronte il traghettatore dello Stige, il guardiano Cerbero, fermò la ruota a cui era stato incatenato Issione per aver amato la dea Giunone sino all’incontro con il semidio Tantalo che aveva rubato l’Ambrosia dall’Olimpo. Alfine, giunse al cospetto del dio Plutone e della consorte Persefone e con la sua abilità oratoria ottenne la sua Euridice a patto che non si voltasse mai indietro sino all’uscita dagli inferi. Ma alla fine si voltò e la sua amata scomparve per sempre. Si dice che tornato sulla terra non trovò mai pace cercando con le arti di ricordare l’amore perduto e che in seguito le Menadi, ovvero le figlie del dio Apollo lo dilaniarono gettandolo in mare e la su Lira giunse sulle sponde dell’isola di Lesbo. Marco Creatini, come Orfeo, diviene il cantore di mondi lontani, lo sciamano incantatore dello sguardo. Nella sua visione neocreativista l’opera, ovvero il documento dell’Anima, diviene lo strumento per congelare le idee nella materia e trasmetterle ai posteri. Nell’opera, infatti convive l’aspetto apollineo-divino con quello titanico-umano ed è per l’opera ed in quell’opera che hanno sede l’anima e l’eternità. Citando solo alcune delle sue opere ci rendiamo conto delle qualità tecniche attuate mediante uno stile consapevolmente maturo e pronto per dialogare con il pubblico. Stella del destino è un olio su tela che immortala un condottiero d’altri tempi che giganteggia sul globo del mondo ma viene inghiottito dalla vastità del paesaggio realistico. Il contrasto tra realtà e sogno proiettano le proprie matrici verso la metafisica d’un linguaggio nuovo data la sapienza con cui le rovine piranesiane del passato decantano la poetica romantica d’un futuro incombente, di cui la stella nel firmamento ne è la prove tangibile. Un altro olio dal titolo Osservatore, continua su questa scia ideale incarnata dall’eroe superomistico che esce dal ventre della montagna, proiettando la sua gloria verso il grandioso paesaggio. In questo modo Uomo e Natura coincidono spiritualmente in un tutto armonico quasi come se l’immensità esteriore divenisse lo specchio dell’interiorità umana e viceversa. Dialogo tra Te e Me è la consacrazione di queste premesse cerebrali poiché al di sotto d’una costellazione celeste, giace supina una mezza luna su una spiaggia, quasi come se la coscienza fosse arenata ai margini dell’oceano dell’esistenza. Il vuoto cosmico della notte/morte apre le sue spire al desiderio del giorno/vita in un vortice animistico che dà forma all’informe e significato simbolico alle cose che prendono vita. In ogni modo si tratta di archetipi che dialogano con il fruitore: giorno/notte, vita/morte, antico/moderno, interiore/esteriore. Archetipi, appunto, formule ideali di pensiero che ossessionano l’uomo nella propria esistenza spingendo la razionalità ad ipotizzare nuove possibilità irrazionali. Ecco, allora, la realtà vanificarsi in onirici viaggi siderali ed il sogno prendere forma in costrutti metafisici. Finestre interiori si aprono così verso i mondi sottesi dell’anima. Dalle atmosfere rinascimentali de Il senso del possesso a quelle classiche di Viaggio possibile sino a quelle eclettiche di Il fanciullo e la musa in un iter dinamico proteso verso la dimensione del viaggio, del divenire e del ritorno. Sprofondiamo nell’etica del ritorno degli eroi greci ed in questo senso ci ricolleghiamo al mito di Orfeo, il mistico creatore che attraversò l’Ade per amore ma che lì lo perse per l’istinto.  Creatini/Orfeo attraversa i mondi per mezzo della sua arte con istinto e saggezza, ma a differenza d’Orfeo non smarrisce sé stesso. Guarda indietro perché non rinnega affatto gli insegnamenti della tradizione pittorica ma vede avanti, ed oltre donando al mondo opere senza tempo che non smetteranno mai di essere finchè nuovi sguardi le animeranno.

 

 

Rinascenza Contemporanea giunge al terzo stadio del percorso virtualista. Nato dalla fase arcaica del N.A.C. ovvero dal Nuovo Arcaismo Contemporaneo, attraverso il Transizionalismo Medioletèo, giunge alla completa maturità Classica in cui le dinamiche Visibiliste e Sensibiliste come quelle Concretiviste e Sensitiviste coincidono sulle formulazioni di un’Arte Progressiva. La fase Arcaica, infatti, delineava creativamente una scissione tra le pratiche realizzative di stampo figurativo da quelle astratte mentre la fase medioletèa connaturava un approccio all’opera che partiva dalla realtà per giungere all’io (Concreto – metafisica) sino alla connotazione dell’io che giungeva alla realtà (Sensitivo- Onirica). Dunque le componenti espresse indicano una matrice Neo – Simbolista volta ad esprimere il senso profondo che l’artista interpreta nell’opera definitiva con una coscienza intellettuale che domina l’istinto anche quando crede di liberarlo. L’Ars Nova adempie alla sintesi dei costrutti precedenti e li proietta con maturità di stile verso orizzonti nuovi che attuano la lezione delle formule espressive del secolo scorso, oltrepassandole o semplicemente attuandole in profondità. Il NeoCreativismo è la sede dell’intuizione pura, dell’idea iperuranica che permette al Creatore di svilupparla in gesto che manipolerà la materia ed originerà l’opera definitiva. L’iperrealismo astratto ne è la risultante assoluta. Elementi della realtà oggettiva riletti in chiave analitica attraverso il Micro ed il Macro sino a sondarne dettagli che astraggono lo sguardo di chi guarda. Una galassia, un atomo od un frammento di una foglia. Kevin Regonesi lavora così. La frammentazione di elementi dimensionali, diviene per lui il terreno su cui lavorare ed approfondire la propria ricerca nel campo delle arti. La pittura diviene lo strumento con il quale attraversare galassie e giungere all’uomo quale risultante ideale di un universo perfetto. Lo stesso discorso vale per SECLA: per lei la pittura è il momento sublime per penetrare lo spazio e riportarlo in superficie in tutte le sue dinamiche costitutive. Atomi, molecole o dimensioni siderali attuate con l’istinto di chi le recepisce nella loro essenza pura. Un corpo nello spazio circostante diviene un frammento di una struttura più vasta che si rapporta al tutto con i colori, con le forme ed i sentimenti. Michelle Rubino, parte da queste componenti e le dilata in geometrie cosmiche al limite del Pop, al limite di una sintesi espressiva che trova il proprio riferimento concettuale nella realtà standardizzata dai media. Un terreno questo che assorbe ed inscatola i sentimenti sino a restituirli al fruitore. Un frammento di spazio, dunque, evoca gli stati intimi d’una cultura. Questi concetti valgono come incipit per le opere di Marco Gemelli. In questo poliedrico artista l’aspetto Pop, Digital, Street si amalgamano in sperimentazioni avanguardiste che raggiungono il cyber-spazio sino all’ausilio del 3D. Le icone della cultura massificata vengono ripristinate in feticci avveniristi capaci di autoprodursi per mezzo di tecnologie avanzate. L’arte diviene per lui il mezzo, non il fine per indicare la realtà. Scompare la manualità e lo spazio assume nuovi criteri di lettura simbolica. Secondo queste premesse si inseriscono le opere di Martina Miola, ideatrice di composizioni poetiche che partono dall’istinto cromatico radicalizzandolo in formulazioni realistiche. L’espressionistico desiderio di connotare gli stati interiori dell’anima e di congelarli in agglomerati razionali costituiscono la priorità del suo estro artistico. Punto di congiunzione tra la dimensione pop e quella figurativa con matrice simbolica possiamo riscontrarla nelle opere di Gina Pardo. Anche in lei lo spazio circostante scompare per dare centralità alla figura umana quale vettore essenziale per esprimere il senso immortale della bellezza. Le sue muse richiamano atmosfere neo – liberty in cui il senso della forma si evolve in modi scritturali che la elevano in concetto. Da qui alle figurazioni di Maria Grazia Marniga, il passo è breve. Paesaggi, volti umani od elementi della realtà concreta sono espedienti ideali che le consentono di scrutare l’intima natura dei sentimenti più profondi. Le forme divengono contenitori di cromie simboliche che contemplano l’anima. Ecco come la figurazione diviene astrazione. Alexandre Saturnini, infine, parte proprio dalla figurazione per giungere ai gradi più intimi dell’astrazione ideale. La pittura diviene espressione intima d’un lirismo poetico che sublima in astrazioni cromatiche. Ha attraversato i codici del visibilismo arcaista e del sensitivismo medioletèo attualizzando in forma impressiva le matrici neo-simboliche del linguaggio pittorico. I neocreativisti rappresentano questo salto generazionale verso nuovi mondi. La realtà oggettiva di riferimento diviene il punto di partenza dal quale evolvere una propria forma di linguaggio. Matrici che proiettano il NeoCreativismo verso un’Arte Nuova, progressiva, iconica, ideale. Ma l’idealità di riferimento si sgancia dalla finitudine umana e giunge alla virtualità pura, luogo siderale in cui l’idea prende forma per mezzo dell’intuizione. Un qui ed un altrove che coesistono sinapticamente. Le fondamenta per un nuovo modo di intendere l’Arte e la Realtà, vengono finalmente edificati da creatori completamente differenti tra loro ma con un unico obiettivo comune: cercare dentro sé stessi ciò che sta fuori di loro. La nuova contemporaneità possibilista aperta alle idee di globalità, di uniformità e di differenza poggia su queste premesse logiche. L’artista congela fisicamente le idee in opere. Stato ideale perfetto che consente a quest’ultimo di essere il portavoce ultramondano per una realtà sociale in crisi in cui i valori tradizionali vengono messi in discussione. Dalla caduta del Muro di Berlino il nostro mondo è cambiato uniformandosi a nuove economie imperanti. I figli dell’era post-nucleare, la byte generation, ha bisogno di credere in qualcosa di nuovo e l’Arte, quale filosofia palpabile è l’unica possibilità concreta per creare nuovi miti.

 

Rinascenza Contemporanea è lieta di presentare IPERBOREON. L’Ultima frontiera della pittura mostra personale dedicata all’artista lettone Irina Kova in cui viene descritto il mondo iperuranico delle idee che prendono forma attraverso la creazione artistica. Secondo il mito, infatti, le gelide terre iperboree di Laurasia poste a nord dell’Oceano di Tetide ospitarono i discendenti lemuriani del continente Mu garantendo alla nobile stirpe Arya di proliferare ed estendere il proprio dominio tra l’attuale Islanda, Groenlandia e le isole Spitzbergen. L’isola di Thule ospitava questa prima umanità civilizzata prima dell’arrivo dell’ultima glaciazione Wurm avvenuta intorno al 28.000 a.C. che ne decretò la totale distruzione dopo l’innalzamento delle acque. Fu quello che biblicamente viene definito il Diluvio Universale costringendo il capostipite della nuova razza Noè a discendere verso sud alla volta del continente atlantidèo posto tra l’Europa, l’Africa e le Americhe sviluppando così l’ultimo impero galattico tra il 15.000 ed il 9000 a.C. Gli Iperborei costituirono un salto evolutivo del genere umano portando l’Homo Afarensis al Cromagnon e furono i depositari di rivelazioni primordiali come la telepatia, della ruota o del sistema calendariale dato poi ad Atlantide. Ma anche questa decadde e la principessa Aztlan, figlia del re-sacerdote Atlante fuggì su un’imbarcazione celeste raggiungendo le gelide terre madri del nord ormai sepolto dai ghiacci e discendendo nei secoli verso la Russia e l’Asia centrale sino alla Mezzaluna Fertile ed alle sponde del Nilo da cui prenderà il via la Storia. La struttura della loro società Aristocratica determinò una trasformazione ideale delle tradizioni ginecocratiche tipiche della cultura mediterranea e le influenzarono attraverso le istituzioni di carattere religioso sino al loro totale rovesciamento. Secondo gli studi di Johann Jakob Bachofen, infatti, in Das Mutterrecht (1861) la vita sociale ha avuto inizio proprio in un’epoca di promiscuità primitiva garantita successivamente dal dominio matriarcale che la civilizzazione iperborea destituì definitivamente. La potenza psichica di questi precursori era notevole al punto di poter trasformare le idee in cose e dominare il mondo. Concezioni platoniche riecheggiate da Platone il quale definiva Iperuranio il luogo in cui esistevano le idee ancor prima che potessero prendere forma. Ed è a questo punto che vediamo Irina Kova, l’artista ideale, capace di trasformare le proprie idee in pittura e di muoverla attraverso lo spazio ed il tempo senza appartenere a nessuna forma d’arte tradizionale anche se elementi della pittura tradizionale fanno parte della sua esperienza. Nata a Riga in Lettonia ha sempre amato l’arte frequentando sin da giovane studi pittorici di maestri conosciuti e sconosciuti e la curiosità l’ha spinta a viaggiare cercando di entrare a contatto con le opere di Picasso, di Renoir di Manet o Degas. Ha attraversato la Russia spingendosi sulla Transiberiana verso Est, quasi un viaggio fantastico verso l’origine del Sole e della vita. Il suo interesse per il balletto artistico caratterizzato dalla sincronicità dei movimenti o dalla centralità del corpo umano assumono valenza pregnante nella sua pittura fondata sul dinamismo, sulla plasticità sino a sfociare in un’irrequietezza critica verso la realtà moderna. Elementi che possono portarla indietro nel tempo pensando ai primi Cubofuturisti russi di circa un secolo fa come a Vladimir Burljuk, Kazimir Malevich, creatore poi del Suprematismo, Natalia Goncharova sino ad un poeta del calibro di Vladimir Majakovskij. Mentre costoro fondevano le forme cubiste al dinamismo futurista con tendenze primitiviste atte a coinvolgere direttamente il pubblico, la nostra Irina Kova parte da questo substrato culturale elevandolo a potenza sino a defluire in un linguaggio ai limiti del Pop e del fumettistico. Non ama infatti definirsi od etichettarsi poiché ama visionare  e cercare dentro sé stessa sino a descrivere e trasformare in formulazioni pittoriche gli elementi scaturiti dalla sua fantasia. In opere come Castelli in aria (2010) o Fulmine (2010) ad esempio, catalizza al centro della composizione la figura umana lasciata amorfa, anonima in bianco dato che le geometrie cromatiche circostanti la comprimono sino ad originarla. E’ il caso di Vendetta (2013) o Simbiosi (2013) in cui il dato razionale evocato dal titolo prende forma attraverso la forza plastica dei colori che generano la forma umana. In nome di questa plasticità assistiamo alla suddivisione dello spazio come vediamo nel caso di Temperamento Indomabile (2013) o della direzionalità fumettistica di Opinioni e Fatti (2013) ma è ancora più evidente nell’opera Fuoco nel mio camino (2013) generata dal fuoco passionale di corpi in movimento azionati da una danza frenetica che torna nel suo parossismo in Buona sera Mimmo (2013), questa volta reso complementare dal nero che lo mette in contrasto allo sfondo. Queste figure spersonalizzate descrivono la distanza tra le cose e le persone determinate dal flusso ininterrotto della tecnologia e della civiltà in cui crollano i valori di riferimento ed il contesto preconfeziona l’individuo sino a farlo scomparire. Le matrici cubofuturiste evolute attraverso il Pop descrivono un Iconismo fluido in cui le componenti metafisiche ed oniriche giungono alla loro sintesi perfetta. Irina Kova rappresenta questa tendenza espressiva fondamentalmente idealizzante come del resto lo era l’universo iperboreo ed in questo modo varca l’ultima frontiera della pittura conducendola verso i paradossi della nuova classicità. Iperboreon, conclude il ciclo di mostre Anteiche incanalato dall’ottica spirituale del Filoteismo neocreativista ed introduce al nuovo percorso Antropico atto a voler descrivere le connotazioni d’un linguaggio classico in cui la figura umana viene colta in tutte le sue modulazioni attuali mantenendo un grado di assoluta originalità nonostante la variegata tendenza delle espressioni passatiste della contemporaneità. In altre parole le divinazioni precedenti giunte ad un livello di mitizzazione e di maturazione inconscia raggiungono la sostanza e discendono nella sfera della leggenda al limite d’un favolismo  concreto che sbarra gli occhi di chi guarda, consentendo di vedere veramente. Ed Irina Kova l’ha fatto. Ha assorbito emozioni attraverso le proprie esperienze e le ha trasmesse ai posteri mediante le sue opere che colpiscono direttamente gli osservatori riportandoli favolisticamente nella realtà concreta. Il suo Iconismo Fluido è la prova diretta di questa realtà che plasma i suoi figli attraverso le illusioni cromatiche, elevando l’uomo ad un fantoccio animo che cerca disperatamente una collocazione nell’infinità del Creato. 

Il giorno 13 dicembre 2013 inizia un nuovo itinerario pittorico della durata di due mesi in cui andranno in scena gli artisti di ATLANTIS. I Cambianti delle Nuove Vie, ovvero coloro che coronano il percorso Medioletèo inaugurato precedentemente dagli Arcaisti. Se questi ultimi avevano scisso le coordinate Visibiliste da quelle Sensibiliste, distinguendo le connotazioni iconiche da quelle aniconiche, l’atteggiamento mediletèo, attraverso il Transizionalismo ha sintetizzato le matrici espressive del linguaggio precedente secondo le modalità prometeiche, ovvero quelle fondate su dinamiche Concretiviste attuate secondo procedure tecniche che esaltavano l’atto manipolatorio della materia in qualcosa di elevato sino alla spinte epimetheiche fondate, invece sulle dinamiche Sensitiviste, attuate invece verso l’allontanamento progressivo dal contingente. I Cambianti, proiettano ulteriormente queste varianti strutturali verso un linguaggio onirico - metefafisico che implode in paradossi simbolistici atti a coordinare i gradi stessi della ricezione. In altre parole l’eclettismo ed il revisionismo precedentemente affermato viene espresso secondo nuove manifestazioni creative che prendono spunto dalla tradizione artistica elevandola a qualcosa di nuovo. Ed il mito del titano Atlante, condannato a sorreggere il mondo sulle sue spalle, quale punizione inflitta dagli dèi, indica questa riflessione sinaptica compiuta dagli artisti. Secondo il mito, una guerra titanica sconvolse il mondo antico, costringendo l’immortale Atlante, primo sovrano dell’isola-continente a muovere guerra contro i discendenti di Saturno. La sconfitta fu devastante costringendo suo fratello Prometeo ad essere eternamente incatenato ad una roccia, Epimeteo a soccombere al vaso dell’amata Pandora ed a Menezio di discendere nel Tartaro. L’unica superstite e divinità atlantidea fu la figlia di Atlante, Aztlan che vide crollare l’impero e fuggì verso le terre iperboree. I pilastri del continente perduto furono sorretti dalla forza del titano che fu così inghiottito dalla potenza del mare. Ecco allora i sogni mitici prendere forma in opere senza tempo attraverso i lavori di Oscar Francescutto, primo artista atlantideo che attua la metafisica onirica di questa visione attraverso opere che indagano l’antropomorfizzazione del dato visibile per mezzo della forza evocativa dei sensi. Ciò che mette in campo è la sensibilità nostalgica di forze ataviche dimenticate dalla contemporaneità vorticosa. Il passo a Francesca Fratini è breve. Se pensiamo all’immediatezza primitivista dei suoi lavori, giungiamo nella piena attuazione dell’espressione segnica, in cui il dato compositivo assume la centralità d’un linguaggio ancor prima di giungere al risultato definitivo. Operazioni non dissimili dalla forza evocativa espressa da Matteo Casati chiaro decano d’un linguaggio informale in cui l’action painting è lo strumento ideale per solcare lo spazio ed attualizzarlo mediante la volontà creativa. Le lezioni spazialiste o le propensioni gestuali affondano nel dato compositivo generandone l’anima stessa. Come vediamo, le caratteristiche iconiche od aniconiche di riferimento, si amalgamano in questo singolare percorso di ricerca sino a spostare i vettori di indagine al cuore stesso dell’opera, indipendentemente dal risultato finale. Simona Bianchini è il cuore di questa kermesse artistica, attraverso spunti direzionali fondati sul mezzo scritturale della pittura. Per mezzo di pochi tratti simboleggia l’uomo, la donna, la prole, la famiglia, delineando un sintetismo espressivo che trova riferimento essenziale proprio attraverso la materia. Questi maestri rappresentano l’aspetto Concretivista, prometeico, inseguendo la metafisica comportamentale di rapporto alla materia stessa, ovvero al materiale di riferimento, manipolato sull’ordine di ciò che esso trasmette al suo manipolatore. L’altra corrente invece inverte la tendenza come vediamo nelle opere di Alexandre Saturnini, visibilista, dedalico nel modo di intendere impressionisticamente la realtà, cogliendola nel suo divenire sino a tradurla in qualcos’altro, sino a sublimarla con gli occhi interiori. Gianni Colavecchi, ci restituisce la realtà circostante trasponendola in visioni sublimate, al limite d’un figurativismo di riferimento che attua una traslazione temporale, onirizzando il senso ultimo del proprio operato estetico. Modalità che ci avvicinano alle astrazioni di Raffaella Lombardi puri sogni ad occhi aperti d’una scrittura perduta, in cui il fatto di vedere è superato in ciò che viene recepito attraverso l’occhio interiore di chi guarda i suoi miraggi pittorici. Ed un linguaggio non dissimile è quello attuato dalle opere di Silvia Perrone, che si serve della posa estatica delle sue modelle per trasmetterci la bellezza incarnata da muse galattiche, fisse nella loro atemporalità estatica in cui la materia scompare ed il sogno inizia a prendere corpo. Ancora atteggiamenti onirici nelle opere di Simone Fantini, in cui il realismo di riferimento è solo un espediente tecnico per sublimare lo sguardo ed immergerlo nella sfera dei ricordi o di pulsioni ataviche rimosse dalla mente. Questo secondo gruppo sviluppa le tendenze Sensitiviste, epimeteiche, ovvero quelle che inseguono l’onirica pulsione compositiva fondata sul desiderio di varcare i limiti offerti dalla materia giungendo ad agglomerati compositivi senza ordine di tempo o luogo. Entrambe le tendenze espresse o per via metafisica o per quella onirica, servendosi dei dati figurativi od astratti, giungono ad una complessa attuazione d’un nuovo simbolismo pittorico. I Cambianti sono questo. Costituiscono il fulcro estetico della nostra indagine  sia nel mondo delle arti attuali perché marcano una via espressiva assai complessa da un profilo analitico destinata a collimare con tutte le tendenze espressive della contemporaneità istituzionalizzata, sia nei confronti dell’arte novecentista passatista. Il loro carattere simbolistico propone uno slancio emotivo atto a consolidare una realtà perennemente visibile ma volutamente nascosta ai molti esattamente come il titano scomparso nel marasma oceanico. Questo transizionalismo in forma eclettica o revisionistica giunge così al suo compimento comportando la trasposizione dell’arte medioletèa in una nuova forma di classicità. Una classicità moderna. I Cambianti sono giunti a tanto e propongono l’apertura delle nuove vie creative a dilatarsi in linguaggi a noi ancora ignoti. Qui diventiamo come il re Odisseo, disposto a tutto per tornare ad Itaca, disposto a tutto per continuare il suo viaggio verso l’ignoto. Atlantis è solo il principio. 

Prosegue la ricerca Anteica di Rinascenza Contemporanea perseguita nelle mostre precedenti quali Sirius. La discendenza Sacra che indagava la provenienza aliena che determinò il genere umano sino ad Erebo. Il Paradiso perduto che sondava la caduta delle antiche divinità che determinarono il nostro attuale destino. L’anello del re Salomone trae la sua linfa vitale dal testo di Konrad Lorenz, il famoso etologo che pubblicò la celebre opera nel 1949 in cui descriveva l’anello dell’antico re giudeo che gli consentiva di parlare con gli animali, ma noi siamo andati più in profondità ricercando le prove storico-mitiche di questa leggenda attraverso il Testamento del re Salomone, scritto al tempo della costruzione del mitico Tempio di Gerusalemme, quando un inviato del Signore, l’arcangelo Michael apparve al re e gli fece dono di un anello ornato da una pietra incisa e forgiato di oro e rame, simboli della luce e della tenebra, che gli consentiva di scrutare nell’animo di ogni essere vivente e di comprenderne la vera natura. Secondo la leggenda un suddito perseguitato dal demone Ornias si rivolse al re per liberarlo dalla sciagura e questi si chiuse per giorni all’interno del Tempio ancora in costruzione ed iniziò a pregare. L’arcangelo Gabriel apparve al re e quando Ornias tornò ad infastidire il giovane, il re lo accolse con forza e mostrando l’anello lo sconfisse. Salomone costrinse allora tutti i demoni a venir fuori ed a svelare i loro segreti e le formule per distruggerli. Da qui nacque una guerra contro le forze del male: apparve Belzebù, capo dei demoni ed istigatore di omicidi. Egli spiegò al re che tutti i demoni hanno un compito preciso e che solo un nome può neutralizzarli. Al nome dell’angelo Emmanuel , inviato di Samael fu sconfitto e tornò nei meandri della Terra. Venne Asmodeus, metà umano metà animale, carico di furia e morte, ha il potere di distruggere le unioni inducendo gli umani alla lussuria. Al nome dell’angelo Raphael fu sconfitto e tornò nei meandri della Terra. Apparve Onoskelis, nata dall’Eco, agisce sotto la luna piena e, date le sue fattezze, induce gli uomini a perdere la testa, inducendoli a seguirla nelle grotte dove li strangola. Al nome di Joel inviato da Sachiel fu sconfitta e tornò nei meandri della Terra. Poi fu la volta di Tephros, il demone del vento impetuoso e fu sconfitto al cospetto di Azael, inviato di Anael ed aiutò i mortali nella costruzione del Tempio gettando le pietre ai loro piedi e tornò nei meandri della Terra. Infine apparve Bianakitb, colui che causa infezioni e decomposizione, qui venne in soccorso Cassiel e fu sconfitto dalla scritta del Tempio: MELTO, ARDU, ANAATH. L’anello vinse le tenebre ricorrendo alla luce incarnata simbolicamente dai due elementi quali l’oro ed il rame in un’unità perfetta che oltrepassava le apparenze dettate dallo sguardo per giungere al cuore. Gli artisti della nostra mostra ricorrono all’opera d’arte, al monile per eccellenza che varca i presupposti del superficiale per giungere a verità sottese dalla logica od alla sfera delle superstizioni contemporanee. Il dono dell’anello al sommo re fu attuato dall’Arcangelo del Sole, Michael che decretò un sodalizio eterno tra l’uomo e la volontà celeste, finalizzata alla purificazione del Peccato Originale. Il principio di possessione corporea e la conseguente risultante angelica di riferimento viene affrontata dall’opera di Matteo Chiarello che incarna la trascendente visione onirica proiettata verso un universo parallelo costellato da forze angeliche capaci di cambiare il corso degli eventi per mezzo di metafisiche ascendenze. Ornias, il seduttore, viene così vinto dalla luce angelica di Gabriel, l’arcangelo della Luna che avvolse le sue spoglie mortali. La lotta successiva tra Belzebù ed Emmanuel avvenne sotto la guida dell’arcangelo di Marte, Samael. Fu una lotta spropositata come avvertiamo dalla forza titanica di Andrea Marra in cui gli archetipi dell’Eros e del Thanatos entrano in conflitto tra loro, sino al raggiungimento di michelangiolistiche visioni corporee in cui i contenitori materici vengono svuotati della loro sostanza e sublimati in poesia. Poi fu la volta di Asmodeus, per metà umano e metà animale incarnato da Mirabela Ioana Cadar che interpone la forza evocativa nei soggetti rappresentati da una pittura onirica in cui la potenza cromatica sembra ripercorrere la potenza dell’arcangelo di Mercurio, Raphael che lo vinse. La metafisica pittorica del linguaggio espressivo di Antonello Marigliani rappresenta l’incarnazione di Onoskelis, il demone nato dall’Eco, ovvero colei che induce sotto la luna piena a disperdere la ragione sino all’avvento dell’angelo Joel sotto le insegne dell’arcangelo di Giove, Sachiel  che la cancellò dal nostro mondo, mediante uno stile metamorfico che prefigura uno spirito pop di adattamento all’altrove. Ancora Tephros incarnato dalle opere di Assunta Canapini e del suo cosmopolitismo stilistico che rievoca la vittoria di Azael inviato dalle schiere di Anael, arcangelo di Venere. Le espressionistiche stilizzazioni dei suoi paesaggi o delle figurazioni induttive riportano alla costruzione del sacro Tempio. Infine Bianakitb e le legioni di Cassiel, arcangelo di Saturno, espresse dalle cosmogoniche formulazioni pittoriche di Anna Selvaggio elevano ulteriormente il senso della lotta del bene e del male in miraggi figurali che stravolgono l’ordinario trasponendolo oltre le galassie o la sfera della ragione. L’elemento di sintesi pittorica ottenuta dai nostri artisti costituisce una sorta di sintesi simbolica in cui i valori alchemici dell’oro e del rame che determinavano i materiali fondamentali del mitico anello, si intersecano in un discorso criptico dai noi svelato. I sette arcangeli della luce Gabriel, Samael, Raphael, Sachiel, Anael, Cassiel e Michael possedevano formule e mistiche per sconfiggere i demoni di riferimento ed i nostri artisti formulano composizioni pittoriche che materializzano queste rappresentazioni ideali. Ognuna delle entità espresse costituisce un parallelismo ai sette giorni della settimana, alle sette note musicali così come ai sette colori dell’arcobaleno. Elementi trattati già nel 1531 dal testo di Cornelio Agrippa nel suo De occulta Philosophia testo in cui cercava queste corrispondenze. Relazioni, alchimie o visioni che hanno come obiettivo fondante quello di consacrare artisti distinti tra loro per stile, tecnica o modalità realizzativa ma accomunati dal desiderio di fondere questa contrapposizione tra luce e tenebra, tra caos e ragione, tra pieno e vuoto d’una realtà incondizionata. Ed i nostri artisti, attraverso la loro sensibilità giungono sensitivamente ad esprimere ciò che sentono oltre la sfera dello sguardo, appunto.

 

 

Rinascenza Contemporanea continua le proprie ricerche nel panorama dell’arte vivente con il consueto appuntamento bimestrale dal titolo EPIMETHEUS. I Teodicei reVisionari. Dopo le procedure prometeiche della mostra precedente in cui gli artisti eclettici celebravano pose senza posa, paesaggi immaginari che aprivano l’occhio interiore della fantasia atta a ricercare ciò che era ricordato dal puro sguardo, ora lo slancio creativo è diverso.  Dunque le risultanti iconizzanti od aniconizzanti d’un linguaggio surreale, iperreale, pop o metafisico additavano un concretismo di rimando in cui era la sensazione pura a filtrare oltre la sfera dell’apparenza. Ora è la volta di Epimetheus, il fratello del titano incatenato. Paradossalmente la figura mitologica è condannata a sposare la splendida Pandora, protettrice d’un vaso in cui sono racchiusi tutti i mali del mondo. Il vaso sarà scoperchiato e fuoriusciranno la vecchiaia, la morte, il dolore, la pazzia, la gelosia. Solo la speranza sarà custodita dal temibile titano. La mostra seguente dunque,  tocca la dimensione iconico/aniconizzante delle manifestazioni comunicative, ovvero quelle che non rinviano figurativamente o visibilisticamente al dato immediato, ma a quello nascosto, criptico o di emblematica discendenza sensibile in cui gli stessi parametri  espressivi sublimano nel paradosso. In altre parole se l’eclettismo precedente rifuggiva l’oggettività realistica in una soggettività immaginaria i revisionari la ignorano del tutto appropriandosene sino ad intesserla di riferimenti assoluti. Siamo in presenza di un discorso Sensitivista, atto a sublimare inversamente i percorsi Concretivisti della mostra precedente, ovvero le costanti che manipolavano la materia su quello che essa trasmetteva fisicamente nell’artista, ora viene dilatato a mondi introspettivi che ricercano sé stessi. Modalità che giustificano i due percorsi secondo parametri di riferimento ad una connotazione di matrice simbolica. Prometei ed Epimetei costituiscono le correnti fredde e calde, iconiche ed aniconiche d’un linguaggio neosimbolista, in cui il dato oggettivo di riferimento alla realtà lo vanifica sino a ricondurlo alla sintesi espressiva di stilema costruttivo. Secondo queste modalità assistiamo alle formulazioni cosmogoniche di Raffaella Calcagnini, fautrice d’uno stile iperrealistico quanto irrealistico a metà strada tra il sogno e la metafisica d’una realtà stravolta. Il suo sensitivismo infatti le consente di filtrare pittoricamente le galassie obliate dalla casualità naturale sino a ricostituire mondi perfetti al limite del visionario. Cieli profondi, strutture amorfe od esplosioni cosmiche si attuano nella sua mente e divengono espressione. Il discorso di Bruna Calzolari è affine a quello della Calcagnini ma espresso secondo tematiche espressive differenti. La costituzione delle componenti discorsive infatti, compenetrano la materia di gesti scritturali che ricercano un segno fuorviante, un simbolo nascosto od un codice che la casualità di quell’attimo ha generato nella sua poetica. Il simbolismo di rimando scaturisce in vortici emozionali capaci di destabilizzare lo sguardo dell’osservatore. Per via fotografica, digitale o scompositiva assistiamo anche alle rifrazioni di Diego Burigotto, estrapolatore dei dati concreti, rimossi dal contingente per essere reinseriti nelle sue composizioni. Come specchi rotti o lenti d’ingrandimento la deframmentazione dell’attimo ordinario si scompone in una grammatica infinitesimale capace di scindere in nuove logiche ricettive che rinviano a metafisiche dello sguardo in frame della mente. Questi processi strutturali vengono potenziati espressionisticamente da Samuel Sichetti, fautore d’un revisionismo novecentesco in cui le componenti pop, street od informali convivono tra loro connaturando un progressismo esecutivo in cui i linguaggi occidentali ed orientali si amalgamano tra loro sino a confluire in nuovi codici di scrittura pittorica. Queste le motivazioni ideali che spingono Manuel Checchi a riformulare icone della tradizione pittorica e culturale sino a rieditarle in nuove matrici di lettura contemporanea. Pensando alla Venere botticelliana inserita in un contesto avveniristico attua una proceduralità concettuale in cui il punto di assoluta convergenza tra il reale ed il fantastico convivono perfettamente tra loro. L’aspetto sensitivista viene esplorato distintamente da Maria Assunta Albini, esploratrice attenta delle proprie emozioni attraverso l’animismo che attribuisce ai significati profondi d’un paesaggio o nella profondità spirituale che attua riconsegnandoci dal passato l’opera d’un Simone Martini, secondo quelle atmosfere suscitate nel proprio Ego. E’ proprio da questo che parte l’impressionistico revisionismo poetico di Alexandre Saturnini, decano d’un arcaismo visibilista, dunque fondato sulla resa oggettiva del dato reale sino a riconfigurarlo sensitivamente in ciò che realizza fisicamente. In altre parole, trasferisce i connotati oggettivi dell’ordinario in simbolismi cromatici. La forma connaturata sensorialmente in oggettività rinnovata è il risultato raggiunto per altre vie dall’iperrealistico Igor Castangia, che ci restituisce mediante l’accurata esecuzione di particolari, baroccheggianti rivisitazioni d’una attualità sfuggente consacrata ad una dimensione aulicizzata proprio dal carattere assoluto della pittura, quale mezzo assoluto di manifestazione lirica. Le caratteristiche revisionistiche degli artisti citatati affondano le proprie radici proprio nel contesto artistico dei secoli precedenti spingendo il loro sentire al di sopra delle considerazioni estetiche che le stesse epoche hanno dettato ai loro antichi artefici. La loro libertà teodicea costituisce il fulcro d’un percorso che sintetizza i surrogati visibilisti e sensibilisti sublimando in potenza le componenti concretiviste dei predecessori prometeici. Il loro aggancio manipolatorio alla materia avviene secondariamente perchè partono essenzialmente da sé stessi ed a sé stessi giungono mediante l’artifizio. Il sensitivismo epimeteo comporta proprio questo slancio in sé stessi in cui il dato immaginifico guida senza sosta l’estro compositivo dell’artista, quale creatore di mondi completamente lontani dal nostro. Vedere dentro sé stessi e tradurre le proprie sensazioni in formulazioni che traducono le cose ordinarie in nuove simbologie espressive oltre la sfera dello spazio e del tempo. 

 

Il percorso spirituale di Rinascenza Contemporanea giunge alla fase Anteica attraverso questa Mini-personale intitolata EREBO. Il Paradiso perduto. Dopo la fase Dogmatica in cui venivano celebrati artisti che ricercavano nell’arte la divinazione sacra, la fase anteica indaga la mitizzazione pura di questi processi creativi proiettando l’ego verso zone oscure o remote dello spirito individuale in cui la verità intellettiva prende il sopravvento. Nel mito, infatti, Erebo era il figlio della Notte e del Caos e, con la sorella Emera, ovvero il giorno, generò Etere, ovvero il cielo più alto dove giunge la luce pura. Ma la creazione assoluta di Erebo, prima di essere gettato dai Titani nel pozzo senza fondo fu quella delle Moire, ossia delle tessitrici del filo del destino umano: Cloto, colei che tesse il filo, Lachesi, colei che misura e calcola il destino, infine Atropo, colei che lo spezza. Tre entità che rappresentano il ponte tra la realtà ed il regno della dispersione ove tutto giace nel limbo degli inferi eterni. Salvatore Palmieri rappresenta l’energia clotiana, ovvero quella costruttiva, fondatrice delle idee in cui le aspirazioni induttive prendono forma attraverso il colore simbolizzato nei gesti istintivi dello spirito. L’informe raggiunge nell’atto creativo il senso stesso della materia palpabile e le emozioni scaturite dalla lotta interiore si manifestano attraverso la materia stessa sino alla propria consacrazione. Non esiste un progetto pittorico quanto un progetto istintivo che si attua nell’opera stessa sino alla manifestazione realizzativa. L’artista siciliano, infatti, è mosso dalla forza istintiva dell’ispirazione che lo guida nel procedimento quasi come se dovesse rimuovere l’atto volontario che lo induce all’azione e lo guida nel gesto del fare sino alla consacrazione definitiva che esaurirà l’ispirazione stessa. Ogni opera è il risultato di una volontà ancestrale espressa fisicamente in formule cromatiche che agganciano il simbolismo evocativo a formulazioni universalmente riconoscibili. Palmieri rappresenta l’alba emotiva della creazione artistica, clotiana, in cui l’istinto diviene azione. Daniela Scozzi ricorda l’entità lachesiana, ovvero colei che calcola il destino umano sulla costruzione istintiva precedente radicalizzandola in formule espressive definite che raccontano realisticamente ciò che dal caos dei sentimenti ancestrali si è determinato in maniera imprescindibile. Le vedute d’assieme, gli scorci terrestri od i paesaggi marini evocano un’oggettività espressiva catalizzata dall’assiduo lavoro tecnico, ottenuto sicuramente dall’approfondita esperienza pittorica dell’artista toscana che ricerca l’essenza delle cose così come si presentano a prima vista ricercandone in profondità la dimensione nascosta. Ecco allora evocare un profumo, un’atmosfera, un sentimento provato in un determinato momento del tempo e fissato lachesianamente nel libro assoluto del destino. Nulla può consentire al semplice mortale di tornare indietro, solo il ricordo definito tramutato oggettivamente in pittura pura, quale simulacro anteico d’una memoria superiore che solo l’arte può costituire nell’integrità spirituale della bellezza. Scozzi cesella i suoi lavori di dettagli compositivi che definiscono questo desiderio implicito di universalizzare questi caratteri ben radicati nella sua anima artistica. Vedere una sua opera, significa attraversare le dimensioni psicologiche del suo vissuto, delle sue esperienze nascoste o celate attraverso i significati significanti di elementi imprescindibili ma posizionati con la logica sapienza di chi indaga attraverso sé stesso aprendo il proprio cuore verso il prossimo. Infine Paolo Lupo, in arte Demian. L’artista torinese ha un passato artistico in cui trasponeva sensistivamente le proprie emozioni celandole in formulazioni sonore che giungevano pittoricamente all’occhio con totale distacco ma assenti. Aaron poi è morto ed è rinato come una fenice in Demian. I contenitori vuoti hanno ripreso vita e l’esteriorità è divenuta interiorità assoluta spostando le lancette dell’orologio eterico verso un’indagine artistica più matura. Tornando alle Moire, Demian ricorda Atropo, colei che recide il filo, che spezza l’equilibrio raggiunto e soffre perchè deve tornare a costituire una nuova entità. E’ la sintesi del caos istintivo generato da Palmieri sino all’ordine formale rappresentato dalla Scozzi. Attraverso Demian i simbolismi tradizionali soccombono in figure espressionisticamente immobili, introspettive, sognanti. La fissità induce l’osservatore a scorgerne la potenza evocativa, l’energia di entità mirabolanti che guardano dritte negli occhi risvegliando l’essere dal sonno della ragione. Crollano le verità istituzionalizzate e la rivoluzione libera dell’inquietudine che fa dell’essere umano il realizzatore di sogni si risveglia, almeno, per un momento. Questi tre artisti segnano l’eredità lasciata al mondo da Erebo, il dio decaduto nel vuoto. L’eterno sconfitto che per volontà d’un giudizio assoluto fu scagliato nel pozzo senza fondo ove ancora cade senza poter mai raggiungerne il fondo e morire. Pensa ma non realizza, nell’impotenza dei poteri perduti. Pensa, sogna, soffre e ricorda i millenni trascorsi nel suo impero celeste, quando la notte incontrò il giorno e dall’Etere originò il cielo. L’unica eredità che lasciò al mondo fu il destino e le Moire ne furono le custodi assolute. I nostri tre artisti ne evocano le potenzialità estetiche. Ne consacrano i percorsi induttivi nell’attimo in cui manipolano la fredda materia plasmandola emotivamente in costrutti definiti. Palmieri, Scozzi e Lupo divengono gli aedi mortali di Cloto, Lachesi ed Atropo. Evocano entità dimenticate dal passato ma presenti nell’immaginario intellettuale ed illuminato di un sapere che non verrà mai cancellato. I mondi crolleranno, gli imperi si disgregheranno come sabbia e le stelle eclisseranno ma i vettori spazio/temporali costituiranno nuovi agglomerati fisici dai quali la materia genererà matrici autonome in grado di tradurre l’Ente in emozioni, pensieri, sentimenti. I nostri tre cantori evocano il Paradiso perduto dal dio Erebo che vede, sente e soffre nel limbo eterno della caduta cosmica in cui la morte si confonde con la vita stessa e le forme divengono colore, suono, travaglio di millenni che durano un secondo cosmico soltanto sino alla rigenerazione. E noi, cosa centriamo in tutto questo? L’arte è l’unica possibilità palpabile che vira verso l’assoluto, trasponendo la finitudine materiale in un linguaggio in cui convivono i dati dell’esperienza con quelli istintivi, psicologici, materiali sino alla concretizzazione materiale che persiste intellettualmente indipendentemente dall’epoca di riferimento. Ed Erebo continua a cadere.

 

 

 

Lo spazio espositivo Rinascenza Contemporanea di Pescara compie un anno. Inaugurato il 30 giugno 2012 ha mantenuto fede al suo progetto fondante, ovvero di ricercare nella contemporaneità artisti/creatori in grado di stimolare nuove tendenze ideali attraverso la ricerca estetica attuale fondata sullo sconfinamento degli archetipi per mezzo di linguaggi innovativi che non escludono la tradizione. Secondo queste matrici teoriche, la Post-Avanguardia Italiana ha rappresentato il punto  di convergenza dalle manifestazioni creative del Novecento a quelle della nuova era dell’arte, ovvero il Virtualesimo. Finora sono state sviluppate mostre Arcaiche come Dedalos. Il delirio visibilista che indagava l’aspetto figurativo od Icarus. L’estasi sensibilista fondato sulle componenti astratte sino al N.A.C. Il Nuovo Arcaismo Contemporaneo che ha rappresentato la sintesi delle espressioni nascenti. Il Transizionalismo Medioletèo ha segnato invece la fase Media, ossia quella che indurrà l’arte stessa a nuove frontiere classicheggianti. Ed è in questo ambito sublime dell’espressione soggettiva che si sviluppa PROMETHEUS. Gli eclettici creatori. Una mostra celebrativa che inizierà il 20 luglio sino al 20 settembre 2013. E Prometeo, colui che riflette prima, ne è il simbolo sintomatico. Figlio di Giapeto e Climene, fu colui che rubò il fuoco agli dei per donarlo ai mortali e Zeus, per punirlo lo incatenò nella zona più alta ed esposta alle intemperie naturali affinché un’aquila gli dilaniasse il fegato ogni notte. E gli artisti in esposizione, sono i nuovi titani, i solinghi creatori di mondi ignoti che attraversano questo periodo confuso esorcizzandolo attraverso il senso mistico del loro linguaggio personale. La fase medioletèa infatti, definisce questo carattere assolutamente individuale in cui l’artista esprime completamente sé stesso, indipendentemente dalle vicissitudini storiche, politiche ed economiche che hanno sconvolto i rigori della morale istituzionalizzati dalle religioni. L’individualismo assoluto dell’artista attualista decreta questo distacco intellettuale, ancor prima che artistico dai fatti del mondo sino a sfociare in letture del tutto personali del vissuto creativo e sensibile. Le matrici novecentiste restano ben salde ma, il ritorno all’ordine figurativo, diviene il comune denominatore, nella speranza che l’estetica del bello, almeno, possa determinare un punto fermo in una realtà mobile, liquida, informe.   Ricordiamo (Gisah) Vanessa Gisella Cesario che nelle sue mistiche visioni incanala la potenza cromatica in forme/formulazioni emotive che descrivono simbolicamente la spiritualità del dato materico trasfusa in coordinate sensibili.  Così come Marisa Ravero fautrice di un onirismo metafisico decanta l’oggettività d’una realtà spersonalizzata per mezzo di modelle/oggetti privi d’una coscienza individuale perché preconfezionata dai mass-media. Ernesto Margueret espressionista simbolico, tende con il ciclo dei Visilunghi ad assottigliare le icone pop del mondo spettacolarizzato sino alla propria modiglianesca maniera di reinterpretare il vissuto primitivizzandolo in forme composte.  Raffaele Cantone con le proprie poetiche torna al gusto della bellezza incarnandola in pose femminili che fuoriescono dal supporto. Ancora Antonio Lenziraffinato arcaista dal sapore pre-raffaellita eleva l’anatomia femminile a musa fitomorfica, caratterizzando il rapporto atavico che unisce la vita alla terra espressa per mezzo delle radici, dei tronchi e della vegetazione. Ancora le atmosfere sognanti di Antonella Manosperti legata a pure letture iperrealisticheggianti nella maniera  ma avvolte dal senso personale d’una bellezza incantata, come anelito ad un desiderio recondito di purezza. Le figure angelicate di Silvana Consolirifuggono dall’oggettività concreta del mondo, cercando la salvezza in dimensioni sublimi che annunziano la speranza di un mondo migliore. Sino agli equilibri esplosivi di Giuseppe Ferrari fautore d’uno stile che parte dal connotato realistico estremizzato in potenza sino all’astrazione pura che induce alla deformazione virtualistica dell’oggettività. Francesco Lupano, invece, trova nel descrittivismo puro del mondo oggettivo lo sfogo poetico di un istante ricondotto alla propria bellezza che trascende il tempo.Non dimentichiamo la finezza di Giusy Ciliberti, decana di sapori antichi mediante l’ausilio della forma intesa come contenitore necessario per esprimere l’eleganza dei colori e delle significazioni che questi rappresentano. Mara Destefanis giunge alle stesse risultanti mediante procedimenti compositivi che indagano la surrealtà, ovvero a quelle dimensioni soffuse in cui il mondo circostante induce al sogno. Elementi che trovano in Ennio Rutigliano la totale incarnazione, determinato prosecutore di daliniani sogni ad occhi aperti che ritrovano nel viaggio psichedelico della pittura la propria manifestazione concreta. L’eleganza della forma costituisce la chiave di lettura delle opere di Andrea Albonetti,  che torna all’oggettuale sconfinando dai resti di ciò che l’umanità utilizza, sconfinando nel gigantismo visionario che consente alle cose di assumere caratteristiche proprie oltre l’umano. Operazione inversa attuata da Cosimo Nocente che sprofonda nelle dimensioni dark neo-goticheggianti in cui la bellezza femminile diviene archetipo della sensualità. Infine Sabino Galante, che traduce il mondo contemporaneo in un universo di balocchi in cui le atmosfere fatate del gioco esaltano le componenti psichiche d’una realtà istituzionalizzata. Questi sono i rappresentanti del Nuovo Eclettismo pittorico, sono i decani d’una tradizione artistica che non omette le proprie radici novecentiste intellettualistiche ma le radicalizza nelle formulazioni d’un linguaggio concreto. Connotazioni di questo ritorno visibilista alla figurazione spaziano da considerazioni Iperreali, Pop, Surreali, Metafisiche, in cui il dato oggettivo estremizzato in tutte le sue componenti creative, viene sublimato individualmente nel procedimento esecutivo che perde di vista l’oggetto realistico di partenza sino a dimenticarlo. Pose senza posa, paesaggi immaginari che aprono l’occhio interiore della fantasia atta a ricercare ciò che ricorda. I cantori prometeici dunque, sono i cantori solitari d’un mondo perduto che soccombe al loro sguardo nell’attimo esatto in cui lo celebrano pittoricamente in visioni sentite dall’anima.

I presupposti del Filoteismo Neocreativista, proseguono sulle dinamiche esecutive dell’Artista e della propria Opera in un contesto di ricerca che valuta il documento dell’Anima come qualcosa di assoluto, sublime o vettoriale tra questo e quel mondo. Il senso dell’opera quindi, indipendentemente dall’epoca o dalle concezioni storiche in cui è stata realizzata, resta come qualcosa di immodificabile, anche se le coordinate ideologiche varieranno a seconda del tempo di riferimento. Dopo mostre spirituali come L’occhio di RA. Lo scontro tra luce e tenebre oppure come APOCALITTICA. I diluviani della bellezza, le scansioni temporali o mitiche d’un discorso senza tempo,  nella visione di BABEL. La torre delle illusioni, che rappresentavano la dimensione DOGMATICA, parallela alla fase ARCAICA del Virtualesimo, la nuova collettiva SIRIUS. La discendenza sacra, delinea una connotazione del tutto innovativa che apre la strada alla dimensione ANTEICA, parallela la fase MEDIOLETEA Virtualista. La caratteristica preponderante del dogmatismo pittorico consisteva nel descrivere artisticamente i dati soggettivi delle differenti superstizioni istituzionalizzate in fedi o credenze sacre oggettivate poi dall’assoluta riconoscibilità dei dati espressivi esposti da ogni maestro. La dimensione Anteica, invece, tende alla trasposizione di questi fattori sino alla loro rilettura mitizzata ed accolta culturalmente con una coscienza maggiore che sprofonda nel descrittivismo puro. Consiste proprio in questa metamorfosi linguistica che colpendo l’osservatore dall’esterno, l’opera  tocca dentro, preconizzando la fine di questo arcaismo ed introducendo in quella fase mediloletèa, in cui i dati soggettivi si configurano in quelli oggettivi. Un gioco di rimandi, dunque, in cui l’ego svanisce e riaffiora nell’opera finita. E SIRIUS, apre le porte a questa indagine neocreativista. Secondo il mito, gli Elhoim furono i grandi padri, abitanti del pianeta Eden ai margini delle stelle gemelle di Sirio che, ingrandendo un impero galattico e lo protendendolo sino alla nostra via Lattea, colonizzarono Nibiru, piccolo pianeta del sistema solare di Nemesi, stella gemella di Helios, il nostro Sole. Crearono qui la colonia formidabile dei Nephilim che si oppose a quella madre sino a sterminarla e giunse dopo migliaia di anni sulla Terra. Qui le clonazioni dai primati generarono la razza umana che si estese nei continenti Mu sino ad Atlantide, sconvolta poi, dalle catastrofi naturali. Credenze, miti, fantascienza d’un mondo perduto di cui noi mortali ne saremmo il frutto più consistente e capace oramai di imitare quelle tecnologie evolute in nuovi progetti di espansione cosmica. Queste le premesse per identificare nei maestri che esporranno nella mostra, i caratteri salienti di questo surrogato Anteico. Partiamo dal linguaggio stravolgente attuato dalle opere del maestro Cosimo Nocente, vero cantore solitario di un mondo post-atomico ai limiti del reale, in cui la figura femminile fa da protagonista assoluta e rappresenta l’immagine d’un simbolismo angelicato proiettandola ai limiti d’un universo globale e decadente, in cui lei è l’unica via d’uscita. Uno spiraglio di luce in un’atmosfera noir, secondo trattazioni neo-gotiche che la rivestono di un pop figurale, oltre ogni concezione tradizionale, in cui il risultato della bellezza è quello di sconfiggere ogni dubbio o tentazione contemporanea. La figura femminile, riveste gigerianamente il ruolo di divinità pura, celeste, ultraterrena in una lotta atavica contro forze oscure che non la adombreranno mai. Dinamiche iperrealistiche che entrano in contrasto con gli universi geometrizzati decantati da Giorgio Biso, fautore d’uno stile limpido, astratto, ai margini d’un tradizionalistico neoplasticismo riconsolidato in forme assolute che come archetipi o tracce di una logica concettualizzata descrivono interiormente le risultanti degli effetti concreti tramandati dalla realtà. La metafisica dell’espressione esplode in equilibri plastici determinati dal colore e dalla forza che esso emette conseguentemente in luce derivata. Questi elementi rappresentano la matrice ideale sulla quale si muovono le composizioni pittoriche di Annamaria Amendolito, vera poetessa dei miti antichi riletti in chiave post-moderna. La potenza erculea espressa nei gesti dell’eroe greco nella lotta contro la fiera o la perizia esecutiva nel decantare la splendida figura femminile, delineano la costanza dell’immenso albero, eletto a portale metafisico tra il mondo oggettivo e quello onirico della psiche in cui i sogni possono finalmente prendere forma. E la forma diviene protagonista assoluta nelle opere di Francesco Lupano, attento osservatore della natura circostante traslata pittoricamente in poesie visive che la traducono in atmosfere soggettive. Il fragore del mare, il silenzio d’una strada alberata, l’odore dell’erba dopo una pioggia d’estate, sono le sensazioni visive che immortala sulla tela, stravolgendo quasi, la consuetudine dell’ordinario e fissando in attimi eterni la bellezza impressiva che quel paesaggio detta all’anima. Connotazioni che hanno spinto la professoressa Maria Grazia Monticelli, a scoprire la sabbia come elemento portante per generare le sue opere. La terra, l’antico arcano, la madre stessa che ci ha generati, diviene per lei lo strumento essenziale da assemblare, incollare su supporto e prendere forma in elementi immediatamente riconoscibili, in funzioni logiche che soltanto l’occhio potrà organizzare direttamente in forme concluse. Procedure diverse, intenti descrittivi che partono da tecniche lontane e stili inconciliabili per la profonda originalità compositiva. Questi maestri senza tempo, partono proprio da universi artistici differenti per donarci, per un attimo emozioni fantasmagoriche che essenzializzano l’importanza assoluta della nostra discendenza, sacralizzandoci al cosmo. Dall’iperrealismo neo-gotico all’astrazione plastica, dal simbolismo arcaico all’impressionismo poetico sino ad un poverismo concreto di matrice concettuale. Queste le dinamiche delle opere anteiche che i nostri maestri pongono sull’altare del mondo, sacrificandole allo sguardo degli astanti, quali adepti d’una realtà nuova o rinnovata. I discendenti sacri dei padri siriani alludono alla possibilità di rigenerare proprio le componenti stesse del creato vettorizzandole, traducendole e restituendocele rinnovate dal loro punto di vista. E l’interscambio con i fruitori delinea questo miracolo, questa condivisione assoluta che induce l’opera a sopravvivere oltre lo spazio ed il tempo. 

 

                       SIRIUS. La Discendenza Sacra

                           Vernissage ore 18.00

 

 

 

 

                     TRANSIZIONALISMO MEDIOLETEO

                    I titanici cantori dell'anima

 

                   dal 27 aprile al 27 giugno 2013

         presenta il Critico d'Arte Andrea Domenico Taricco

Parte ufficialmente dal giorno 27 aprile 2013, la nuova mostra organizzata da Rinascenza Contemporanea, che ha per oggetto il Transizionalismo Medioletèo in cui i titanici cantori dell’anima, si affiancheranno in un percorso della durata di due mesi. L’analisi storica che caratterizza il grado di ricerca delle opere e degli artisti in esposizione è proprio fondato sulla selezione dei differenti documenti dell’anima, che esprimono le visioni, o meglio, le previsioni sinaptiche fondate sull’esigenza di costituire un movimento artistico e ideale portante della nuova Era. Le mostre precedenti, infatti, sono partite dalla Post-Avanguardia Italiana, quale matrice di passaggio dalle esperienze del Medioevo Romantico alle connotazioni stilistiche del Virtualesimo nascente, in cui si sono distinti gli artisti dedalico-visibilisti, ovvero i rappresentanti della figurazione e gli icaronei-sensibilisti ispirati alle impressioni astrattive. Il Nuovo Arcaismo Contemporaneo ha sottolineato questa prima tendenza artistica sintetizzando quelle modalità tecniche, compositive e stilistiche di maestri completamente distinti tra loro per qualità creativa, ma accomunati da una pregnanza espressionista, impressiva e modulatrice dell’impatto formale che supera i revisionismi concettuali, poveristi o di ascendenza minimale, sino a reintegrarli in potenza in un linguaggio moderno.  La fase media del Virtualesimo, compie un passo avanti in questa ricerca deduttiva, aprendo il varco alla nuova classicità, in cui i dati dell’essere assoluto e dell’oggettività latente si fonderanno reciprocamente. I transizionalisti reinterpretano pittoricamente il desiderio di esporsi all’oggettuale mondo circostante sino ad annullarlo o ad integrarlo al proprio modo di vedere e intenderlo a posteriori, quasi come se l’onirica manifestazione delle cose esistesse davvero oltre la sfera dell’assurdo. Ecco, dunque, le ragioni che spingono questi titani, questi cantori di mondi perduti a cercare dentro sé stessi e tornare in superficie, manipolando la materia come se si trattasse del proprio spirito. Il viaggio medioletèo, consiste proprio in questo passaggio, in cui l’opera diviene testimonianza concreta d’un universo perduto. In altre parole se i surrealisti del secolo precedente applicavano alle loro opere una dinamica procedurale fondandola sull’automatismo o sulla sfera del sogno psichico, i transizionalisti agiscono deduttivamente sull’universo interiore razionalizzandolo espressivamente secondo modalità simboliche che utilizzano le esperienze visibiliste e sensibiliste della fase arcaica inglobandole a seconda d’una propria metafisica. La componente simbolica, di conseguenza, ne diviene lo strumento portante sino ad elevarsi a puro iconismo dialettico. L’opera intesa come simulacro, come traccia immediata d’un discorso assoluto, ne determina l’esecuzione, accostandone l’immediatezza realizzativa della struttura alla perizia contemplativa del dettaglio, sino allo sconfinamento concettuale, in cui l’artista torna a dipingere sconfiggendo la propria intellettualità di partenza, onirizzandosi nella propria visione del mondo. Assistiamo alle poetiche pop di Erica Prandin, fautrice di un iconismo puro al limite d’un presupposto di massificazione dell’opera per l’immediata riconoscibilità dei suoi soggetti che rievocano nel pubblico miti della tradizione culturale del secolo scorso. Piera Ingargiola, sprofonda digitalmente in revisioni temporali al limite tra una dissertazione assemblativa delle idealità attuali e la loro vettorializzazione in ascendenze poetiche che la sacralizzano ad arcana iconizzatrice del linguaggio espressivo. Questo valore dell’immagine oltre il tempo determina un ritorno all’oggettività sino agli sconfinamenti attuati da Laura Conti, in arte Lally, che proietta nell’armonia dei suoi paesaggi pure reminiscenze idealizzanti, fondate sul desiderio di esorcizzare il vissuto in interventi formali che lo rieleggono secondo aspetti dettati dal proprio inconscio. Entriamo così nella terra di nessuno, in quell’altrove in cui l’artista diviene il sacerdote d’un paradosso: l’Ego. Letizia Barbi, ad esempio, varca universi paralleli, determinati proprio dal desiderio di rievocare atmosfere a lei consone, ricostituendole cromaticamente secondo l’emozione del gesto, la cura d’un particolare o l’intensità d’un tratto. Sono, in maniera diversa, le prerogative di Augusto Ghiani, che fauveizza, stravolge e ricompone secondo modalità dettate dal sensazionalismo insito nel mondo circostante  e ridotto a contenitori significativi di cui la forma ne è una conseguenza. Nello scontro tra la luce e le tenebra, invece, emerge il ciclo titanico di Stefano Cerritelli, poeta mistico d’un linguaggio atavico in cui la tenebra prende forma in un satiro che guardando la luce, l’assorbe sino a generarla dall’interno e, nello scorrere temporale dell’eternità, inebria vita nuova. La dualità trova quindi consacrazione nella forma snaturata e ricondotta alla luce pura. Infine il cosmogonico ripristino della forma attuato da Marco Iacobelli, entronauta degli elementi assemblati secondo cicli ancestrali che profetizzano la sintesi perfetta tra l’incognito e il definibile, tra la vita e la morte attraverso la forma ed il colore. Questi maestri, questi arcani dell’olimpo pittorico, inducono l’osservatore a viaggiare metafisicamente tra gli innumerevoli mondi della psiche poiché traslano il dato materico in proiezioni alchemizzanti atte a stravolgere l’ordinario. Come titani, sembrano divinità tribolanti, chiuse nei propri involucri ideali, ma come tali ispirati da archetipi millenari che poetizzano i flussi poetici traducendoli in materia che discende nel baratro attraverso il lento scorrere delle cose sino a riconsolidarle nell’effimero senso del paradosso. I transizionalisti navigano nelle tormentate acque della contemporaneità cercando, in ciò che vedono e traducendo in ciò che fanno, il proprio tormentato demone. Da qui originano i sogni, i ricordi ed il catartico desiderio di generare opere ultime che possiamo alfine ammirare.

 

 

 

                                BABEL

                       La torre delle illusioni

 

                    Dal 16 marzo al 16 aprile 2013

           presenta il Critico d'Arte Andrea Domenico Taricco

Il percorso di Rinascenza Contemporanea, fondato sulle concezioni del Filoteismo Neocreativista, prosegue la propria ricerca sulle dinamiche esecutive dell’Artista e della propria Opera. Il senso dell’opera quindi, indipendentemente dall’epoca o dalle concezioni storiche in cui è stata realizzata, resta come qualcosa di immodificabile, anche se le coordinate ideologiche varieranno a seconda del tempo di riferimento, assumendo il valore d’un documento dell’anima collettiva oltre che dell’artista, quale figlio d’una tradizione culturale. Ma il percorso induttivo in cui questo documento viene inserito, definisce un serio scopo isomorfico di riconoscimento, riferito esclusivamente ai fruitori, per mezzo di intravisioni che dovranno stimolarli a cercare in sé stessi. Dopo mostre spirituali come L’occhio di RA. Lo scontro tra luce e tenebre oppure come APOCALITTICA. I diluviani della bellezza, le scansioni temporali o mitiche d’un discorso senza tempo, proseguono nella visione di BABEL. La torre delle illusioni. Secondo la visione biblica, i discendenti di Noè, ovvero coloro che scamparono il diluvio, migrarono in Oriente e si stanziarono nel paese di Sennaar e qui costruirono una torre che doveva giungere a Dio ma servì a disperdere le lingue. Nimrod, fu l’ideatore della torre pensata con un’enorme scalinata ad est per salire e ad ovest per discendere e fu colui che volle fondare il primo regno post-diluviano per riunire la frammentaria autorità patriarcale in opposizione al dio stesso. Ma viene narrato che Dio confuse le lingue di tutta la terra e disperse il regno costituito. Un simbolismo che evoca il nostro desiderio moderno di verticalità, di onnipotenza o di un mondo globalizzato, omologato in termini culturali, politici e religiosi. BABEL, rappresenta questo universo soggettivante di artisti completamente diversi tra loro, intenzionati a descrivere il proprio modo di intendere la realtà, indipendentemente da formule di appartenenza o concezioni preesistenti alla propria arte. Ogni artista, infatti, esprime sé stesso configurando nel proprio stile, con la propria tecnica o specifiche modalità compositive, il proprio rapporto con il Creato, RiCreando artisticamente. Secondo questi aspetti i babelici annientano la torre delle illusioni poiché rievocando sé stessi ed il proprio ego, annullano il presupposto di connaturarsi ad un’ovvia oggettività in nome della fede nel proprio Ego, unica risorsa possibile per questa realtà impossibile. Ogni ricreatore innalza una torre immaginaria in cui i ricordi, le emozioni o momenti della propria esistenza, assumono un valore indescrivibile ed esattamente configurabile alle esperienze degli altri. Un percorso di alta soggettività che non preclude dettami cattedratici, atti a giustificare tendenze esecutive che hanno storicamente rappresentato momenti della realtà soggettiva oggettivata da una visione critica ed analitica. I nostri maestri, dunque, si rappresentano mettendo a nudo la propria visione del mondo, figlia della globalità ma giunta ad un punto elevato di maturazione che la distoglie dal tutto, facendola finalmente rinascere in seno alla propria autonomia discorsiva. E l’arte, quale proiezione della propria anima, risulta lo strumento idoneo per generare questa inversione di rotta. L’apporto di Gianfranco Rossocci, testimonia un tentativo storico da parte d’un maestro dell’arte italiana, di configurare attraverso il proprio stile, elementi della tradizione pittorica in chiave moderna. Ecco emergere i suoi paesaggi in cui l’effetto vedutista per mezzo della luce fisica, ci immerge in realtà sublimate, nella piena contemplazione del mondo. Elementi impressionatizzati dallo stile sicuro di Silvia Pastano, vera incantatrice del tempo per mezzo di colori che generano sfumature di emozioni rapportabili al simbolismo delle forme. Le sue opere generano una cronologia intima, al limite d’uno sguardo interiore che scandisce la metafisica dell’anima. Concetti attuati diversamente da Olimpia Undari, poetessa onirica della bellezza in cui le matrici spazio-temporali divengono archetipi d’un simbolismo nostalgico in cui il ritorno alla forma è l’espediente per eccellenza per superarla e descrivere ciò che essa emana in profondità. Ecco allora trasformare la luna, le foglie o l’anatomia umana in qualcosa di più profondo finalizzato a discostarsi dagli stereotipi di partenza. Martina Vaccarella, definisce con le proprie opere un diverso tipo di simbolismo atto, invece, a riscoprire nella forma, l’unico veicolo possibile per rappresentare l’irrappresentabile. L’angelo con una sola ala, indica l’impossibilità dell’essere superiore di poter volare nella condizione di restare ancorati alla terra.  L’universo realistico di Loredana Zambuto, invece, oscilla tra il desiderio di rappresentare il mondo reale, incarnato dall’immagine del pesce e la volontà di superarlo, attraverso il semplice artifizio di cambiare il punto di vista. Astrazione, realismo e concettualismo si intersecano in un linguaggio personale ed unico.  Paola Longo, ottiene lempickiani riferimenti attraverso uno stile sobrio, sicuro ottenendo risultati artistici profondamente unici. La potenza formale appoggiata da un cromatismo caldo e vigoroso, la inducono a ritrovare nella forma il veicolo espressivo della propria energia. Sino a Mara Carusi che, servendosi d’un criticismo descrittivo, affronta lo svelamento delle apparenze, mostrando la realtà nella sua forma cruda, reale, sincera al limite d’un catastrofismo che, in fin dei conti, persevera autenticamente. Cadono i veli delle apparenze ed il mondo ci piomba addosso, così com’è. Infine il maestro Fred Nardecchia, vero decano d’una pittura in via di estinzione in cui la cura del dettaglio, così come il senso cromatico degli elementi messi in campo, denotano una profondità compositiva in cui l’istinto e la razionalizzazione dello stesso si compenetrano sino a generare l’emozione. Nella fase storica della crisi globale in cui i pilastri economici, politici e religiosi della nostra realtà vacillano, giungono i depositari d’un sapere arcano, i pittori e raccontano il mondo secondo la propria visione artistica finalizzata a purificare l’anima attraverso lo sguardo contemplativo. E, colpendoci dall’esterno, ci toccano dentro, preconizzando la fine di questo arcaismo  ed introducendoci in quella fase mediloletèa, in cui i dati soggettivi si configurano in quelli oggettivi. I babelici distruggono dunque, le certezze dell’epoca, capovolgono gli stereotipi dell’ideologia contemporanea, proiettando l’uomo moderno verso frontiere inesplorate dalla logica a metà strada tra il sogno e l’astrazione, tra le dinamiche impressive ed espressive, ma dove la forma detta legge in nome di una potenza cromatica atta ad esaltare lo spirito.

 

 

Prosegue la ricerca storica compiuta dallo spazio espositivo Rinascenza Contemporanea, fondata sulle modalità critiche dettate dalla Teoria Sinaptica Essenziale, che getta sui preordini della contemporaneità, nuove matrici di indagine per la rivalutazione del linguaggio creativo. Un percorso estetico che ha fondato la nuova era dell’arte, ovvero il Virtualesimo, preconizzato dai maestri della Post-Avanguardia Italiana, ancorati alle esperienze del Medioevo Romantico, attraverso ii Dedalici, cioè i fautori del Visibilismo pittorico nel senso che attuano i dati tecnici della figurazione, sino agli Icaronei, ovvero ai Sensibilisti astrattivi dalle componenti informali a quelle geometrizzanti. La mostra di cui ci occupiamo, determina la sintesi del primo periodo virtualista, ovvero il Nuovo Arcaismo Contemporaneo, dal quale i dati della figurazione e dell’astrazione si compenetrano in un percorso intuitivo che ha per oggetto l’interscambio isomorfico tra il dato rappresentato e quello emozionale a cui rimanda la percezione pura. Queste componenti hanno delle strutture di fondo assolutamente pertinenti come la severità della forma ridotta all’essenzialità geometrica, il simbolismo cromatico dettato dall’incidenza del colore all’espressività del tema rappresentato, dalla ricerca di un naturalismo che reinterpreta la realtà espressionisticamente sino alla coincidenza tra il dato oggettivo e quello soggettivo. I N.A.C. (Nuovi Arcaisti Contemporanei), dunque, reagiscono all’oggettività pura rappresentata dalle categorie pop od iperrealiste, così dalle componenti soggettive, espresse dai concettualismi, minimalismi o poverismi della tradizione artistica ed evolvono in un simbolismo espressionista, in cui oggetto e soggetto rimandano alla poetica dell’immagine stessa. La corrente calda parte dal dedalico Alexandre Saturnini, già definito precedentemente quale maestro d’un lirismo puro, fondato cioè, sull’impressivo desiderio di reinterpretare la realtà circostante secondo modalità compositive che la riportano in vita, purificandola attraverso la sobrietà dei colori nel loro contesto formale. Su questa strada emerge lo stile di Elisabetta Papparella, nei suoi mondi nostalgici che circoscrivono la dinamica costruttiva della forma in agglomerati cromatici al limite di un fauvismo interpretativo, così come del resto avviene negli universi sommersi di Flavia Catelani, fautrice d’una pittura psicologica, introspettiva, capace di suscitare nell’osservatore quel senso di ricerca interiore che vuole assolutamente trovare vie possibili verso la superficie. E questa, sicuramente viene a galla, attraverso le opere di Claudio Bagagli, vero e proprio ricercatore assiduo di contenitori formali che decantano la potenza del colore. I suoi paesaggi, fondati sullo scontro degli elementi descrivono la potenza del mare e la capacità umana di adattarsi alla sua forza. A questo punto, emerge la pittura di Carla Passarelli, che immobilizza il tempo attraverso il rigore formale o la compostezza dei colori che cristallizzano le figure in pose che scrutano la realtà sino alla conseguente rielaborazione della stessa. I dati realistici fin qui delineati, girano intorno all’immediatezza d’un verismo oggettivo interpretato soggettivamente. Giuseppina Carloni, invece, attua nelle sue opere un descrittivismo poetico, al limite del viaggio interiore attraverso la realtà che decanta attraverso la dimensione rievocata dalle caratteristiche d’un dettaglio, d’uno scorcio fotografico o d’un ricordo prossimo a svanire dalla memoria. Il limite tra la realtà oggettivata ed il sogno è rappresentato dal favolismo di Luana Celli, ricercatrice di atmosfere incognite, magiche ed improbabili, quasi come se fossero estrapolate direttamente dal mondo delle idee e tornassero in superficie per farci sognare ad occhi aperti. Sprofondiamo così, nei percorsi della corrente fredda rappresentata da Arturo Semprevivo, fautore d’uno stile pittorico ai limiti dell’astrazione, in cui formalizza l’informalità sino a costituire nuovi cardini gestuali, inserendoli, conseguentemente nel dato simbolico che la forma stessa, detta attraverso la materia. Da qui, prendono le movenze i neo-spazialismi di Alfredo Celli, attento manipolatore della materia, impoverita, oramai, della propria dimensione cromatica, ma rivitalizzata attraverso l’estrapolazione formale per reinserirla purificata nel contesto di partenza. La potenza del taglio, della dilatazione e della spaccatura, dinamizzano il dato formale rinvigorito dalla luce e dalla propria ombra. Parlando di luce, spiccano le digitalizzazioni di Maurizio di Carlo, promulgatore di elaborazioni grafiche che utilizzano i tagli fotografici, così come i freddi calcoli algoritmici del calcolatore elettronico, per riscoprire la forma di partenza e restituirla all’osservatore, secondo modalità che ne ricostituiscono l’anima. La corrente calda, fondata visibilisticamente su dinamiche espressive che rimandano oggettivamente alla realtà, così come la corrente fredda, fondata sensibilisticamente su dinamiche compositive soggettive hanno in comune l’interscambiabile desiderio di simbolizzare espressionisticamente i caratteri formali, cromatici e compositivi. La risultante di tale poetizzazione induce il fruitore a ricercare nell’opera finita i propri connotati interpretativi ai quali rimandare la ricerca individuale. Non parliamo dunque, di un soggettivismo fine a se stesso o di elementi di ricerca oggettiva insiti nella forma, ma di spinte compositive atte a far coincidere il soggettivo con l’oggettivo, il dato figurale con quello cromatico, quello onirico con quello materico. I N.A.C. rappresentano questa strada, questo tassello indispensabile per l’arte contemporanea, che fonda il proprio linguaggio sulla poetizzazione di ciò che la realtà infonde nell’artista, indipendentemente dal fatto che abbia o non abbia attinenza col dato reale. Questa sublimazione della materialità in spirito cosciente determina la loro elevazione a noetici dell’arte attuale, a veri e propri maestri d’uno stil nuovo che annunzi alle nuove generazioni la rilettura del nostro mondo. Ed è su quest’ottica determinante di coincidenza intellettuale o di incidenza spirituale che tutto prende forma, secondo uno sguardo nuovo rivolto verso tutto ciò che va oltre l’apparenza. Il simbolismo espressionista che ne deriva, induce, in ultima istanza, proprio verso questa poesis artistica che ha come obiettivo finale la ricreazione del nostro mondo.

 

 

 

 

                             APOCALITTICA

                       I diluviani della bellezza

 

 

                Vernissage il 21/12/2012 alle ore 18.00

 

            Presenta il Critico d'Arte Andrea Domenico Taricco

 

                    21 dicembre 2012 - 21 gennaio 2013

Rinascenza Contemporanea presenta APOCALITTICA. I Diluviani della bellezza che ha per oggetto la fine del mondo, o di un’era del pensiero tradizionale, letta secondo chiavi artistiche e culturali completamente differenti nello stile e nelle tematiche degli artisti coinvolti. Il 21 dicembre 2012, è infatti quella data del calendario gregoriano, secondo la quale, antiche profezie, decretano che dovrebbe verificarsi un evento catastrofico od una trasformazione radicale dell’umanità intera. Secondo lo scritto di Pierre Teilhard de Chardin In che modo io credo (1934) sosteneva l’avvento dell’Homo Noeticus, che rappresenta un salto evolutivo per l’attuale Homo Sapiens Sapiens, quale risultante di una successiva evoluzione della coscienza umana nel Punto Omega finale. L’arte è lo strumento perfetto di indagine che tocca queste visioni millenarie verificando lo stato attuale delle cose. Accanto alle mostre ordinarie, fondate sulla Teoria Sinaptica Essenziale, dove l’elemento storico-teorico indaga sui linguaggi della contemporaneità con lo scopo di definire le basi del Nuovo Arcaismo, le mostre filoteiste trasformano l’opera, riadattandola nello spazio secondo una nuova matrice linguistica, tentando di incanalare lo sguardo superficiale in una visione od intravisione modulata, nell’ambito della ricerca che ho definito Filoteismo Neocreativista. In questa ricerca spiritualizzante l’Apocalisse diviene il terreno successivo su cui muoversi dopo l’analisi del dio RA in cui lo scontro tra luce e tenebre generava la vita e l’ispirazione sublime. La parola apocalisse deriva infatti dal greco antico e significa gettar via ciò che copre, ovvero togliere il velo, come smascherare dalle apparenze. Un concetto che rinvia allo svelare, da Dio al profeta od al prescelto e che dalla tradizione ebraica è passata di mano attraverso la cultura cristiana sino alla contemporaneità. Nel mondo giudaico ed islamico, la letteratura apocalittica aveva una concezione legata al profetismo in cui il presupposto di resurrezione dei morti, giudizio universale o la selezione dei beati e dei dannati, incideva sulle coscienze dei viventi, sino all’Apocalisse di Giovanni nel Nuovo Testamento, in cui corrispondeva alla pura rivelazione. Ma le manifestazioni espressive erano molteplici come la rivelazione di misteri attraverso il sogno, oppure attraverso la figura di un veggente che  si metteva in relazione alle schiere angeliche, sino alla visione della fine del mondo, letta come un’ellisse nella escatologia apocalittica che indica la resurrezione, il giudizio dei morti e della pena dell’inferno data ai peccatori. Nelle culture mesoamericane, i Maya avevano una lettura del tempo legata al Sincronario Galattico, in cui contavano 13 giorni per definire un anno di 260 giorni e prevedevano in tale data l’anno divinatorio della trasformazione che la scienza traduce nel passaggio di un’era, da quella dei pesci a quella dell’acquario e che corrisponderebbe all’allineamento del Sole al centro della galassia, ovvero nel giorno del solstizio d’inverno. Il passaggio di un tempo, di un’era, di un mondo di congetture che fan parte di tradizioni culturali ma che i nostri artisti hanno determinato nelle loro opere. Giacomo Sonaglia legge l’apocalisse come concettualizzazione della perfezione, secondo l’umanizzazione del pianeta nella scansione cabalistica dei quattro elementi incarnati dalla madre terra. Diversa l’interpretazione di Arturo Semprevivo, fautore d’una trasposizione materica, in cui l’energia cromatica esplode in casuali spazialismi, atti a descrivere nuove aggregazioni compositive. Il trittico di Leandro Antonini, definisce invece, l’evoluzionismo sincopato, d’una forza deterministica, protesa verso equilibri preordinati dalla volontà. Su questo filone Antonio Cannata, connatura civiltà cibernetiche, mondi primitivisti d’un passato che deve ancora venire ma che costituisce un ponte verso l’ignoto. Ed è l’ignoto, l’informe, l’aere, elemento che contraddistingue la lettura astratta di Stefano Cristofanello, generatore di presagi emozionali, di stati assuefatti della ragione smarrita in cui il senso evanescente della ricerca attua il proprio desiderio di essere. Queste dimensioni metafisiche raggiungono la consapevolezza simbolica attraverso la forma, come nell’opera di Michela Azzola, in cui descrive un’umanità in fuga, unita dal desiderio di cercare risposte, verità celate per raggiungere in un qualche dove la gioia di esistere. Pensiamo alla Battaglia di Teutoburgo eseguita da Alberto Bonu, combattuta nel 9 d.C. nella foresta di Teutoburgo, in cui le legioni romane comandate da Publio Quintilio Varo furono sconfitte tragicamente dalla forza germanica comandata da Arminio. Sangue, morte, distruzione, per noi discendenti da un secolo che ha visto due guerre mondiali e forni crematori incenerire popoli di oppressi. Un simbolismo che prosegue nella descrizione onirica del tempo compiuta da Rosaria Barbarinaldi, in cui una macchina del tempo si ferma ai margini d’un lago incantato che prende le fattezze d’un muro, forse quello del pianto e la prigione della mente prende corpo sotto i rami dell’albero della conoscenza. Ma le ricerche non finiscono qui. Milena Barberis, eternizza, secondo matrici pop, le icone del cinema e dello spettacolo, come divinità senza tempo che sopravvivranno a qualunque catastrofe, nella memoria dei sopravvissuti. Sino a Michele Mariani che riproduce fedelmente le opere di Leonardo da Vinci, di Raffaello Sanzio o di Michelangelo Merisi da Caravaggio per restituire, al mondo intero, magnifici esempi di grandezza conclamata che in un’età remota hanno espresso la magnificenza di un mondo che non tornerà più. Sintesi perfetta di queste espressioni, il Fiore dell’Apocalisse che simboleggia la mostra, dato il fatto che questa figura alchemica rappresenta proprio la Rivelazione da Dio all’uomo. Il fiore ha quattro petali che rappresentano i quattro elementi ed i quattro esseri ( Aquila, Toro, Leone, Angelo). Ne parla Gioacchino da Fiore nel suo Liber Figurarum, dove il saggio determinava la corrispondenza dei quattro cerchi ai due anelli che simboleggiavano l’armonia del cielo e della terra, delle acque superiori ed inferiori. Il saggio teologo vissuto tra la metà del primo secolo dell’anno Mille ed i primi anni del Duecento preconizzò le tre età dello spirito. Insomma, i diluviani dell’arte, i poeti/artisti salvano sulla Arca della speranza le loro intraletture, rendendo omaggio alla nuova era, come un ponte ideale tra questo e quel mondo, possa mantenere in vita, almeno i sogni.

 

 

                      APOCALITTICA

                I diluviani della bellezza

 

             21 dicembre 2012 - 21 gennaio 2013

                        ore 18.00

 

 

 

 

 

                            ICARUS

                     L'estasi Sensibilista

 

 

           Vernissage sabato 17 novembre 2012 ore 18.00

                      17 novembre -17 gennaio

 

 

Rinascenza Contemporanea è lieta di annunziare l’avvento di questa nuova mostra che ha come oggetto l’arte sensibilista della nuova era dell’Arte attuale: il Virtualesimo. Dopo la rassegna offerta dalla Post-Avanguardia Italiana basata sulle esperienze otto-novecentesche del Medioevo Romantico,  le matrici visibiliste hanno rappresentato tutti i criteri possibili della figurazione. I dedalici hanno descritto la realtà od il rapporto intimo con essa, secondo presupposti impressionisti, espressionisti, onirico-metafisici, sino alle concezioni iperrealiste. Da qui gli icaronei, ovvero i fautori sensibilisti che traducono interiormente le induzioni astratte del pensiero, partendo da dinamiche informali, di stampo materico, segnico, gestuale o di pura espressione astratta che induce alle visioni neoplastiche o gestaltiche. Icaro, il fantomatico figlio dell’architetto Dedalo e della schiava Naucrate, ne diviene l’emblema, il simbolo caratterizzante sotto il profilo intuitivo. Secondo il mito, infatti, Dedalo, accusato dall’Aeropago di Atene per aver ucciso suo nipote Talo, fu mandato in esilio a Creta, dove il re Minosse lo incaricò di costruire il labirinto per rinchiudere il Minotauro, ovvero il figlio illegittimo avuto dal tradimento di sua moglie Pasifae con il toro bianco di Poseidone. Quando la costruzione fu ultimata Dedalo e suo figlio furono rinchiusi nella fortificazione senza possibilità di scampo. Fu allora Pasifae che li aiutò a fuggire, anche se tutte le navi, i porti ed i mari che circondavano l’isola furono messi dal re sotto controllo, promettendo a chi li avesse catturati un grosso compenso. Dedalo fabbricò le ali per sé e suo figlio e presero il volo, sorvolando i cieli dell’Ellade in modo che i contadini, i pescatori e gli abitanti delle isole li scambiarono per divinità. Ma Icaro, colto dall’estasi e dalla meraviglia, non ascoltò le parole di raccomandazione del padre e si librò in alto nel cielo, verso il sole. Ad un certo punto, Dedalo si voltò e non vide più suo figlio, ma le piume sparse dal vento, discese verso il mare e lì, tra le onde, vide il corpo privo di vita del giovane che fu immediatamente seppellito su un’isola deserta. Apollo aveva sciolto la cera delle sue ali, consacrando a sé la giovinezza del figlio del fuggitivo che trovò la forza di raggiungere la Sicilia, dove trovò pace. La simbologia estatica di Icaro, che smarrisce la razionalità paterna o la responsabilità dell’azione, diviene la marca dionisiaca dell’ebrezza vitale, caotica del puro desiderio ludico, potenza sconfinata dei sensi indagatori. Vola più alto dei padroni del cielo, vede in faccia il dio sole che lo punisce per la sua vanità e lo fa cadere in mare, lo fa precipitare come un angelo prometeico, sino al sacrificio assoluto della propria vita. Gli icaronei, ovvero gli artisti sensibilisti, sviluppano quest’impeto creativo, fuorviando il rapporto razionale con la realtà, offerto dal gruppo dedalico-visibilista, in cui l’ordine, la proporzione, il numero e la regola, costituivano l’equilibrio totale. L’esplosione dei materiali, le pratiche scritturali del segno o della traccia estatica d’un gesto, sino agli equilibri cromatici, tradotti in simboli d’una nuova realtà, sono caratteristiche che esaltano il Creatore alla trasposizione di una forma mentis senza precedenti. Il genio di Nicola Morea apre questo varco verso un altrove, verso dimensioni lontane dall’ordinario in cui l’abilità del gesto nel momento della sua proiezione su una superficie, confluisce dati temporali di straordinaria efficacia compositiva. Un discorso analogo vale per Nino Perrone, che traduce l’aspetto materiale del colore, colto nella sua sostanza, attraverso la potenza del gesto, in cui la risultante è la ricerca della luce allo stato puro. Dinamiche assolute che imprimono nell’artista il desiderio di scoprire un  nuovo linguaggio, come nel caso di Adria Muzzi, protesa verso una ricerca scritturale, segnica, al limite d’un primitivismo che innalza l’atto esecutivo a comunione cosmica dell’essere, immortalandolo così a puro vettore estetico. Dal canto suo Giuseppe Lavalva, in arte Andrè, assolve stilisticamente queste corrispondenze linguistiche, intensificandole in una ricerca sublime, in cui l’astrazione, genera nuove realtà che esprimono paesaggi dell’anima. Parlando d’anima emerge l’isomorfismo di Francesco Minniti fautore d’uno stile puro, assoluto, introverso ma costellato da percezioni sonorizzate in pittura secondo una componente dinamica. Il dinamismo sfocia nella totalità delle estrapolazioni virtuali ricercate digitalmente da Maurizio Di Carlo,  traduttore della realtà, del cosmo dell’Ego. Siamo, a questo punto in relazione, alla componente fredda sensibilista, protesa verso un presupposto di razionalizzazione come nel caso di Pierpaolo Mancinelli, decano di equilibri generati dal caso e proiettati in meccanismi robotici, in macchine futuribili in cui l’informe prende forma in moti inerziali e sottoposti alle leggi fisiche della meccanica emozionale. Nineth Schiarizza, genera assemblaggi composizionali, in  cui l’involucro costituisce la matrice entro la quale determinare il puro sfogo delle passioni, sino a ricondurle in superficie. Marco Mazzurana, invece, deduce, estrapola queste componenti della nuova oggettività in oggetti assoluti, in geometrizzazioni irrazionalizzanti per la nostra dimensione ma conducibili all’essenzialità intuitiva. Alfredo Celli, infine, coordina queste matrici nello spazio vuoto che predomina incontrastato, secondo l’assenza-presenza del colore, smistandolo in compartimenti tridimensionali, in visualità effimere, dando nuovo rigore al vuoto. I procedimenti sensibilisti si sviluppano in tutte le direzioni dell’istinto, nell’estasi, appunto del loro rappresentante simbolico, Icaro che si librò nell’aere e, vivendone l’improvvisa meraviglia, perse ciò che gli era più caro: la vita. Ma le opere dei nostri maestri continueranno sicuramente a vivere, possiamo esserne certi.

 

 

               

             

              Vernissage 6 ottobre 2012 ore 18.00

 

 

                         L'OCCHIO DI RA

                Lo scontro tra la luce e le tenebre

                       6 ottobre-6 novembre

 

Rinascenza Contemporanea è lieta di presentare questa mostra che inaugura un ciclo di eventi spiritualizzanti, o meglio indagatori di un’interiorità che non riguarda solo l’artista nella realizzazione della sua opera, ma anche del fruitore, nel momento in cui si rivolge ad essa. Accanto alle mostre ordinarie, fondate sulla Teoria Sinaptica Essenziale, dove l’elemento storico-teorico indaga sui linguaggi della contemporaneità con lo scopo di definire le basi del Nuovo Arcaismo, le inter-mostre trasformano l’opera, riadattandola  nello spazio secondo una nuova matrice linguistica, tentando di incanalare lo sguardo superficiale in una visione od intravisione modulata.  Da una parte, quindi, un ciclo di eventi scientificizzanti, dall’altra la ricerca di una nuova fede: la bellezza. Ed il dio Ra, o meglio, l’occhio del dio millenario, sembra lo strumento più adatto, per avviare questo nuovo ambito di ricerca che ho definito Filoteismo Neocreativista. Neo-Arcaisti da una parte, quella logica e Neo-Creativisti dall’altra, quella spirituale. Ergo: la luce, il principio, l’incipit. Dunque l’artista, prima dell’opera, poi l’opera oltre l’artista, oltre il tempo, oltre l’uomo: la nuova fede, appunto, od almeno la speranza di una bellezza sublime. Nella millenaria religione egizia l’occhio di Ra era simbolo regale della prosperità e della protezione, dunque costituiva un amuleto, un sigillo potente che scacciava qualunque forza negativa e custodiva le tombe dei faraoni sino ai luoghi sacri dedicati al culto. L’amuleto, infatti, veniva posto all’interno dei bendaggi che avvolgevano il defunto, così come sui rilievi o nei papiri, affinchè determinasse il concetto rigenerativo dell’eternità. Secondo il mito, Ra era il dio sole dell’antica Eliopoli, nato dalle acque del Nun e portato tra le corna della vacca celeste Mehetueret. Sappiamo che a partire dalla dodicesima dinastia fu congiunto al culto del dio Amon, così da divenire per i fedeli Amon-Ra e divenne il dio supremo, l’innominabile, colui che col suo occhio, il sole, appunto, guardava il mondo ardendolo di vita. Sotto il suo giudizio supremo erano sottoposte tutte le creature. Ma la leggenda narra che l’occhio fu tolto al dio in uno scontro contro il dio del caos Seth, per vendicare la morte del dio padre Osiride, ucciso a tradimento dal fratello. Adorato anche come Atum, percorreva ogni notte il mondo degli inferi su una nave reale, oltrepassando il caos e ritornano all’alba verso la luce. Fu lui, infine a creare l’uomo. Queste le ragioni simboliche che definiscono lo scontro assoluto tra la luce e le tenebre, tra la razionalità e l’irrazionalità, tra il bene ed il male. Queste le connotazioni epiche che hanno spinto alla ricerca del gruppo di artisti che espongono le loro opere in un percorso mistico, in cui il colore, la forma, l’armonia plastica così come il sinfonismo primitivo del gesto o del puro sguardo, si amalgamano in un iter senza tempo, in una macro-opera che funge da catalizzatore sinaptico.  Spiccano le catalizzazioni gestuali di Lino Alviani,  fautore di uno stile figlio della tradizione tardo-novecentesca ma assemblativa di componenti emozionali che indagano momenti d’un trascorso senza tempo. Meccanismi naturali, dunque che sondano la rimozione dei dati soggettivi per la ricerca d’uno sguardo rinnovato. Cosa che avviene in maniera diversa dalle macchinazioni gesthaltiche di Ciro Palladino, erede surrealista d’una nuova metafisica, in cui lo spazio diviene contenitore spurio di forze ancestrali che governano il suo universo personale. Bizantineggianti o klimtiani i riferimenti culturali di Daniela Acciarri, poetessa della luce o del  senso talismanico che indaga nel florealizzare l’oro, incastonandolo in pure costruzioni simboliche od astrazioni mistiche surrogate dall’assidua ricerca interiore. Sino alle ricerche entropiche di Rossano di Cicco Morra indagatore attento delle componenti meccaniche della mente e dei dati non immediatamente percepibili ma indagati dall’inconscio, riconducendo l’oggettività alla sua fonte di origine pura. Questi atteggiamenti astrattivi-estrattivi dell’arte, non rifuggono la componente magico-irreale, come quella ricercata da Adriana Pozzi, di forte ascendenza chagalliana e protesa verso un linguaggio decodificabile secondo i dettami cabalistici che indagano lo scontro delle forze ancestrali che governano gli individui, resi ciechi innanzi a se stessi. Parodie che culminano nelle stilizzazioni di Alessio Antonio Mercurio creatore d’un naif disincantato che sembra reclamare un revisionismo di matrice espressionista sino a scomporsi in frame di forte impatto cromatico. E la via verso la drammatizzazione contemporanea, di ascendenza pop entra in gioco attraverso le oggettivazioni di Marco Cafaro, demistificatore della realtà sociale attraverso la rappresentazione dei suoi miti sconsacrati invece, al limite della crisi tanto decantata da Matteo Filiddani, baudelaireiano cantore della modernità e delle contraddizioni. Sino alla realtà pura così descritta da William Santolieri decano d’una sintesi espressiva onirica, per mezzo dello scatto che induce a riflessioni anamorfiche. Passando per le rappresentazioni figurali di Mara Carusi, indagatrice instancabile della bellezza, al limite d’una sensualità che genera la grazia in tutte le sfumature possibili, in cui lo scontro tra zone misteriche della personalità o di luce mistificata, si intrecciano in un discorso assoluto. Infine, Fred Nardecchia, il nuovo Guttuso, il nuovo impressionista, macchiaiolo o Coubert, descrittore, semplicemente dell’uomo e del suo fare mentre il tempo diviene. Tutto sotto la luce del sole, mentre le galassie si evolvono e le stelle collassano. Mondi lontani, questi maestri d’una tradizione artistica non ancora trascorsa definitivamente e giovani talentuosi che vedono dentro oltre che fuori, nella speranza di trovare qualcosa. L’arte sicuramente. Ora tocca a noi,  fruitori attenti, per mezzo delle loro opere, cercare la via e contemplare nell’accostamento di situazionismi mirati per risvegliare qualcosa che trascenda dall’ordinario e da noi stessi, sino a naufragare in un altrove che non ha barriere di sorta. Chissà, forse qualcuno riuscirà a trovare l’occhio scomparso del dio del sole. Secondo il mito furono le figlie gemelle Shu e Tefnut a trovarlo nelle regioni misteriose dell’ignoto. Forse qualcuno l’ha già fatto: nella speranza di questa gloria, noi continueremo nella nostra assidua ricerca.

 

 

 

 

 

          Vernissage presso Rinascenza Contemporanea

               Sabato 8 settembre ore 18.00

 

 

                            DEDALOS

                    Il delirio Visibilista

                    8 settembre- 8 novembre

 

 

            Presentazione a cura del Critico d'Arte

                   Andrea Domenico Taricco

 


 

Il Virtualesimo è nato. Ovvero, la nuova era dell’Arte che confluisce con l’inizio del terzo millennio, caratterizza le motivazioni estetiche degli artisti contemporanei atti a sublimare idealisticamente sul profilo compositivo. La Post-Avanguardia Italiana ha decantato questo passaggio, dal Medioevo Romantico all’era Virtuale, proponendo le due correnti cardine, Visibilisti e Sensibilisti, come specchio d’una tradizione neo-barocca, atta a edificare un Arcaismo moderno, intriso di quelle prospettive che confluiranno nel gusto dei decenni successivi. Su queste premesse, lo spazio espositivo Rinascenza Contemporanea inaugura l’8 settembre una  nuova mostra dedicata agli artisti Visibilisti. Dedalo, l’antico architetto e scultore greco, ne è l’ispiratore sublime, poiché rappresenta l’intrico sotteso della psiche in cui giacciono le pulsioni e le angosce individuali. La forma ed i suoi rapporti con il mondo esterno. A lui, infatti è attribuita la costruzione della mucca di legno nella quale la moglie del re Minosse, Pasifae si accoppiò con il toro sacro e dalla cui unione nacque il Minotauro rinchiuso nel labirinto. E Dedalo fu rinchiuso a sua volta nella sua costruzione perché ne conosceva il segreto, spingendo successivamente suo figlio Icaro a cercarne la fuga con ali che si sciolsero al sole. Le simbologie espresse, definiscono la maestria, la scienza, l’astuzia degli artisti coinvolti, che tramano, attraverso i meandri della forma al raggiungimento assoluto della perfezione. E la figurazione ne è la matrice essenziale: dopo le esperienze informali, concettuali o performative del secondo dopoguerra, il ritorno alla forma ha riscoperto l’importanza della mimesis e d’un tipo di rappresentazione volta a tenere in considerazione la realtà circostante. In Italia, ad esempio, pensiamo al figurativismo moderno, nato sulle ceneri del gruppo Novecento di Margherita Sarfatti, in cui gli artisti che avevano già operato nelle Avanguardie e poi sotto la protezione fascista, rinnovarono il linguaggio, distaccandosi successivamente dalle scelte politiche. Pensiamo a  Renato Guttuso, a  Felice Casorati o Piero Agnetti che segneranno l’inizio d’una visione modernista senza precedenti, solcando i dettami d’una consapevolezza che tarda a tramontare. Fu il ritorno all’Accademia di Brera a definire un cenacolo di artisti che voleva ritornare alle atmosfere di Montmatre, lasciandosi ispirare dalla pittura impressionista o di natura espressionista. Tornando a Dedalo, dopo la morte del figlio, riuscì a fuggire da Creta, trovando asilo in Sicilia, presso il re Cocalo. Intanto il re Minosse, per tentare di riacciuffare il fuggitivo, escogitò un tranello: promise una ricompensa a chi avesse fatto passare un filo tra le volute d’una conchiglia. Dedalo riuscì  nell’impresa cospargendo la conchiglia di miele, facendovi passare una formica attaccata ad un filo. Il re lo seppe e lo raggiunse in Sicilia dove trovò la morte. Fu qui che l’eroe visse fino alla morte. La corrente calda visibilista, ovvero quella impressiva ed espressiva è rappresentata da Alexandre Saturnini la cui poetica è trasmessa attraverso uno stile sobrio, in cui descrive, per mezzo di accurati paesaggi emozionali, al limite del ricordo, le proprie esperienze di vita tradotte figurativamente. I suoi lirismi, affondano nel passato, penetrando la materia sino a dissolverla nella luce della verità. Una poetica che apre la strada alle sintesi emozionalidi Annamaria Pizzi, vera indagatrice della propria sensibilità, assidua ricercatrice di emozioni da condividere con i fruitori, per mezzo d’un modo di intendere l’arte, come puro specchio della vita. Il suo è un simbolismo al limite del naif, figlio di impressioni depurate nella stessa radice. Le componenti impressive conflagrano nei riespressionismi di Carla Perona, generatrice d’uno stile compatto, al limite tra il reale ed il fantastico, considerato che si ispira alla natura ma la traduce interiormente secondo un linguaggio che parte dalla sensazione che quella espressione ha generato nella sua psiche. Le opere della scomparsa Valeria Ciotti, invece sono luministiche, veri e propri transfert tra la realtà palpabile ed emozione che quel dettaglio, quel carattere particolare o quel dato, apparentemente inutile, hanno suscitato nel suo gesto creativo. E la luce diviene essenza pura, con forza d’impatto che non tramonterà mai nella memoria. Punto di convergenza tra la matrice calda, espressiva, introspettiva e quella fredda, la troviamo nelle mitizzazioni di Renè Ghisetti, cantore solitario dell’era moderna, menestrello indiscusso d’un romanticismo decaduto e sulle cui fondamenta, ha edificato un modo di dipingere che esalta l’attuale, rinnovandolo nella sua smisurata classicità, intrisa di valori, frustrazioni, miti. La corrente fredda tende all’oggettivazione delle tecniche realizzative, descrivendo il mondo nelle sue diverse componenti da quelle oniriche a quelle realistiche. Pensiamo alle mascherazioni di Nino Ninotti, post-surrealista o decano d’una lingua morta, a tratti intraducibile per una contemporaneità pronta all’azione, all’immediato o ad un modo di intendere il tempo, fondandolo sull’impatto istantaneo di mondi lontani, pronti a fondersi tra loro. Diverso l’atteggiamento della giovane Mikela Ingrassia, fautrice d’una pittura visionaria, in cui la rappresentazione della forma o della deformazione mistica della stessa, le consente di rimuovere elementi che fanno parte del suo vissuto traslato in dimensioni magiche, al limite del sogno o di ascendenze lunari. Diverso l’atteggiamento scompositivo di Erminia Gebbia, ricercatrice assidua della contingenza estrema, fine osservatrice di oggetti-soggetti che isola dal loro reale ambiente per riportare in vita, con lo scopo di restituirci la verità senza alcuna interpretazione fuorviante. Così come il fotografismo metropolitano di Andrea Boltro, accurato inseguitore della forma nelle sue matrici pop, isolando le immagini in compartimenti ideali che estrapolano il soggetto in frammenti dinamici, al limite di una spazialità che assume nuovi presupposti di temporalizzazione. Infine il neoiperrealismo offerto da Antonietta Meneghini, accurata pittrice delle espressioni, dei solchi lasciati dal tempo, da quelle tracce indelebili della pelle che segnano il passaggio fugace di un’emozione. L’iperrealismo soccombe innanzi al desiderio di infrangerlo e dalla lotta ne deriva l’estasi. In entrambe le matrici, la forma, il colore ed il pensiero, si arrendono ai surrogati d’una realtà che detta legge riportando l’artista ad essere puro cantore del mondo contemporaneo.

 

 


 

 

 

           Mostra inaugurale Rinascenza Contemporanea               

                           

                       Il Virtualesimo

                  Post-Avanguardia Italiana

                      30 giugno-30 agosto

 

             Presentazione a cura del critico d'Arte 

                   Andrea Domenico Taricco

 

 

          Vernissage sabato 30 giugno 2012 ore 18.00

   

                                       

Dopo le Avanguardie storiche del Novecento o le manifestazioni delle Neoavanguardie sino alla Transavanguardia di Achille Bonito Oliva, la Post-Avanguardia Italiana si prefigge attraverso le sue due correnti fondanti, i Sensibilisti ed i Visibilisti, di indurre gli stati latenti della percezione ad una sorta di purificazione senza tralasciare le esperienze precedenti ma rinnovandole dall'interno. I Sensibilisti, ad esempio, giocano sulla forma o sulle dinamiche cromatiche lavorando sui dati ricettivi dell'immediatezza e dell'istinto. Pensiamo al gruppo Neo-Pop costituito da Ermenegilda Ferrante, vera materializzatrice di figurazioni in cui l'antropomorfizzazione del mondo precostituito si dissolve in slanci spirituali che armonizzano il suo universo interiore. Così come Salvatore Chessari (The Dog) il quale attraverso le sue opere organiche animizza i turbamenti dell'ego in contenitori sublimi al limite del pop o della riconoscibilità, sino alle alerazioni di Maria Carla Bresciano dove il senso della ripetizione, della deformazione o dell'elaborazione frattalica induce la forma a rigenerarsi, inducendo l'osservatore a disperdersi in dedali derazionalizzati dall'opera stessa. I Primitivisti, invece, come Roberto De Siena, al limite di un vettorialismo avveniristico in cui le tracce d'un mondo post-atomico o nei sincronismi di Maria Luisa Delzotto, protesi verso la subordinazione dei dati reali a quelli emozionali, connotano la potenza del colore sino al conseguimento di formule nuove. ecco dunque le manifestazioni del gruppo Digital interiorizzante come nelle introspezioni di Maurizio Farina ricercatore assiduo d'una originalità senza precedenti o nelle opere direzionali di Silvia Boldrini, capace di evocare emozioni che partono dal freddo calcolo dell'elaboratore sino a colpire la retina, la mente ed il cuore. Dall'altra parte i Visibilisti riscoprono l'eleganza del contingente, partendo dal gruppo Digital esteriorizzante, ad esempio, che utilizza fotografie rielaborandole magistralmente come l'immaterialista Sabrina Zucchello (Nina Zeta) che rievoca istanti di vita vissuta in opere cosmiche e senza tempo od il deformante Luca Donati vero stravolgitore del mondo precostituito. La soglia verso i Pop-Surrealist ormai è varcata, pensando alle spersonalizzazioni di Luca Guglielmo, prosecutore di vere metasurrealizzazioni che inglobano ironicamente la quotidianità sino a filtrarla o nei risvegli trasfigurativi di Giovanni Greco, comunicatore della forma ritrovata e dell'armonia che il suo linguaggio pittorico riesce a trasmettere in chi assiste alle sue rivelazioni. Dunque la componente Ultraverista si compie attraverso gli accostamenti di Marco Giovanni Gianolio decano d'un criticismo in cui le forze archetipiche si accostano sintetizzando le problematiche dell'attulità. 

Dodici Maestri, dodici capiscuola provenienti da luoghi lontani, dodici modi diversi di concepire l'Arte e restituircela come mai, prima d'ora. Secondo la Teoria Sinaptica Essenziale, dopo la grande stagione Classica, conclusasi nella fase Neoclassica ed il Medioevo Romantico, scaturito dalla rivoluzione Impressionista e giunto ai margini dei concettulismi novecenteschi, gli artisti della Post-Avanguadia, costituiscono la prova tangibile, la sostanza pura o la speranza incarnata della nuova era. Il Virtualesimo è finalmente nato.

                    IL VIRTUALESIMO

                Post-Avanguardia Italiana

 

              30 giugno 2012 -30 agosto 2012

              Inaugurazione sabato 30 giugno

                       ore 18.00

 

 

 

                Rinascenza Contemporanea 

              Via Palermo 140 - 65122 Pescara

                  orari:  lunedì-Venerdì

                         mat:  9.30-12.30

                         pom: 17.00-19.00

                 Chiuso:  Sabato-Domenica